Emergenza maltempo
“Perché si è tombato, ossia coperto, un torrente senza rispettare il suo corso idrologico? Perché nelle aree di golena si è permesso di costruire? Perché le autorità preposte non hanno avvertito le popolazioni che potevano essere a rischio?”. Mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno, in un’intervista al Sir fa sue le domande che in queste ore si stanno sollevando dalla popolazione colpita dal violento nubifragio che nella notte tra sabato e domenica ha flagellato il capoluogo toscano causando sei vittime e due dispersi. “Il problema di fondo – sottolinea – è che la zona colpita era vicino ad un torrente. Le persone sono arrabbiate e fanno molte domande alle quali occorrerà dare risposta”. Anzitutto “perché ‘Fiumi e Fossi’, l’organismo provinciale che ha il compito di monitorare fiumi e fossi e controllare gli argini, sempre solerte nell’inviarci le cartelle dei pagamenti, non ci ha avvertito del rischio esondazione? Nessuno è stato messo in guardia o invitato a lasciare la propria casa per mettersi in salvo”. Secondo le ricostruzioni, la pressione dell’acqua del torrente Ardenza ha distrutto l’argine confinante con la villetta del primo Novecento nella quale sono stati travolti da un’ondata di acqua e fango un bambino, i suoi genitori e il nonno. “E’ assurdo – osserva il presule – che sia stato ‘tombato’ un corso d’acqua senza procedere al rafforzamento dell’argine. Quando venne costruita la villetta ai primi del Novecento, il torrente non era tombato (incanalato sotto costruzioni, strade e piazze, ndr)”. La procura di Livorno ha aperto un’inchiesta per disastro colposo. “Nessuno è stato messo in guardia o invitato a lasciare la propria casa per mettersi in salvo – ribadisce il presule -. La magistratura dovrà indagare e la gente aspetta risposte”.