Discriminazione

Bosnia ed Erzegovina: cattolici in calo e con meno diritti. Mons. Vuksic (ordinario militare), “vogliono far tacere la Chiesa”

Sono circa 400mila i cattolici rimasti in Bosnia ed Erzegovina mentre prima della guerra nei Balcani se ne contavano 740.726. E ogni anno 15mila fedeli scompaiono dall’anagrafe. È quanto è emerso dalle conclusioni dei vescovi del Paese che recentemente hanno terminato la loro 70ª assemblea plenaria. “In parte questo calo è dovuto all’emigrazione, soprattutto giovani in cerca di un lavoro migliore”, spiega al Sir mons. Tomo Vuksic, ordinario militare della Bosnia ed Erzegovina. “Ma esiste anche il problema dei profughi e di coloro che furono cacciati dalle proprie case, in totale circa il 67% dei cattolici”. Secondo Vuksic, “da parte delle autorità, a tutti i livelli, non c’è stata una ferma volontà di favorire il rientro di queste persone”. A questo si aggiunge una situazione economica difficile. “Il salario medio è di 800 marchi, pari a 450 euro, e la povertà – racconta l’ordinario militare – si nota soprattutto nelle grandi città”. “Moltissimi bisognosi si rivolgono alla Caritas, che purtroppo – rileva – non riesce a dare una mano a tutti”. Ma Vuksic solleva anche un altro problema. Dopo l’accordo di Dayton, con la creazione della Repubblica Srpska e della Federazione Bosnia ed Erzegovina, i croati-cattolici che rappresentano il 15% della popolazione, si trovano in ambedue le parti, ma secondo la Chiesa cattolica in pratica non hanno gli stessi diritti degli altri due grandi gruppi etnici, serbi-ortodossi e bosgnacchi-musulmani. Ai cattolici, per esempio, va solo il 3 o 4% del totale degli aiuti da parte della comunità internazionale. “Naturalmente questa verità è scomoda per alcuni e vogliono far tacere la Chiesa”, spiega. “Si dovrebbe partire a livello politico e sociale da quel principio costituzionale di diritti uguali e applicarlo a tutti i livelli nell’organizzazione dello Stato”, osserva Vuksic, altrimenti, “si crea una disparità ingiusta”.