Sanità
Le persone con disabilità “non hanno bisogni speciali, ma hanno le esigenze di tutti: poter accedere ai servizi sanitari, potersi muovere e orientare nelle stanze, poter comprendere quello che si fa su di loro e con loro: ciò che è speciale è soltanto il modo con cui rispondere a queste esigenze”, ossia adeguare i nostri mezzi di comunicazione, i nostri edifici, le nostre prassi quotidiane. Ne è convinto Adriano Pessina, docente di filosofia morale all’Università cattolica del Sacro cuore e direttore del Centro di Ateneo bioetica. “Quello che siamo è un dono – sostiene in un’intervista al Sir – ma anche un debito sociale e culturale”, e la questione, prima che di natura medica e di organizzazione sanitaria è di natura antropologica. “Occorre discutere e ragionare sulla domanda del ‘chi è l’uomo’ – ammonisce Pessina – e non possiamo ignorare che anche in sanità aleggia il fantasma delle ‘vite non degne di essere vissute’, espressione che sta diventando criterio di discriminazioni di non poco conto nei confronti di chi si trovi a vivere malattie o disabilità e che può aprire scenari di abbandono terapeutico”. Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere se una vita sia degna o meno e “tutti i processi di cura e di assistenza devono essere governati non soltanto dalla competenza scientifica e dall’abilità terapeutica, ma dalla precomprensione del valore della persona umana in tutte le sue concrete e transitorie condizioni di vita e salute”. Sul terreno di “questo umanesimo della fragilità e della giustizia si costruisce il significato stesso della medicina”.