Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha fatto pervenire ieri una lettera a Papa Francesco, tramite la nunziatura apostolica a Caracas, per chiedergli di “mediare” con l’opposizione perché non utilizzi i bambini nelle proteste “violente” contro il governo. In una lettera di cinque pagine Maduro ringrazia il Papa “per tutto ciò che ha fatto e fa per la pace, il dialogo e la convivenza pacifica in Venezuela qui e ora”: “Scrivendo queste righe so che sto interpretando il sentire della immensa maggioranza dei mie connazionali che rifiutano apertamente chi sta giocando la carta della violenza e della guerra civile”. Maduro sostiene che “si tratta di una minoranza sempre più ridotta e perciò, ogni volta più impazzita” che vuole “dare fuoco al Venezuela per raggiungere i suoi inconfessati e tenebrosi fini politici” e creare “un clima di odio generalizzato”, “manipolato e amplificato dalle reti sociali come strategia di guerra psicologica contro il nostro popolo”. “E’ chiaro – scrive più avanti – che l’estrema destra si dispera perché non arriva l’anelato intervento militare statunitense che sta sognando”. Ma ciò su cui Maduro vuole porre maggiormente l’attenzione del Papa è “un fenomeno atroce e altamente preoccupante”: “L’uso frequente e perverso di bambini, bambine e adolescenti – sottolinea – in azioni di violenza terroristica di strada”, che ha provocato “la morte di minori” associata “alla manipolazione indebita di armi ed esplosivi prodotti in casa”. E cita il caso del 17enne Neomar Lander, ucciso a Caracas da un esplosivo. Citando un brano del Vangelo e la Dichiarazione universale sui diritti dell’infanzia, Maduro chiede “la sua intermediazione, nell’ambito del processo di dialogo nazionale, perché i dirigenti delle organizzazioni politiche dell’opposizione, specialmente della Mud, desistano da queste azioni tanto criminali quanto disumane”. La lettera di Maduro segue di pochi giorni l’incontro dei vescovi del Venezuela con Papa Francesco giovedì scorso, durante il quale gli hanno esposto una situazione di repressione governativa da parte di quella che hanno definito “una dittatura” – con circa 70 morti in due mesi – e la grave mancanza di cibo e medicine per tutta la popolazione.