“La prima vocazione che abbiamo è essere noi stessi. Non dobbiamo ambire ad essere nuovi Mosè o padre Pio. Noi siamo unici e nella nostra unicità incontriamo il Signore. La vera libertà non è coltivare il proprio orticello o fare sempre e solo quello di cui si ha voglia ma seguire questo rapporto infinito con il Mistero incarnato in Gesù, rischiando, buttandosi, avendo fiducia in Lui”. L’arcivescovo della diocesi di Taranto, monsignor Filippo Santoro, ha spiegato così il senso della vocazione, durante l’adorazione eucaristica sul tema, a cui hanno partecipato centinaia di giovani ma anche famiglie e consacrati. Nella parrocchia Santa Lucia di Taranto c’è stato spazio pure per una testimonianza toccante. Quella di padre Antonio Salinaro, parroco della Chiesa di San Pasquale, nel cuore della città, che prima di incontrare Cristo e la fraternita francescana viveva una gioventù difficile, piegato dalla dipendenza da eroina. “Da ragazzo sono passato dalle canne, alla cocaina, agli acidi e poi all’eroina. Avevo un vuoto interiore da colmare e lo facevo così. Poi un giorno ho rischiato la vita e ho deciso che volevo smettere. Ho chiesto aiuto a mia madre e senza andare in comunità, rimanendo in casa e affrontando terribili dolori, inappetenza, allucinazioni, insonnia, sono riuscito ad uscirne. È arrivata, però, la depressione. Ormai stanco, sono entrato nella chiesa del mio quartiere e ho deciso di confessarmi. Ho incontrato un giovane sacerdote che mi ha fatto capire la grande misericordia di Dio. Per la prima volta mi sono sentito amato, perdonato, liberato e di nuovo dignitoso. Così ho iniziato a frequentare la parrocchia e dopo un lungo cammino di scoperta della fede sono approdato tra i francescani. Ognuno deve scoprire qual è la terra che lo fa germogliare nel migliore dei modi – ha concluso – e io vi auguro di trovare la vostra”.