È di questi giorni la rivelazione che tre anni fa il Pentagono ha lanciato una “guerra cibernetica” segreta per sabotare il programma missilistico di Pyongyang. Quel programma pare aver funzionato solo in parte. E la questione torna di estrema attualità dopo il lancio di missili effettuato in questi giorni verso il Giappone. L’intelligence americana sembra concorde, infatti, nel ritenere che oggi Kim Jong-il dispone di missili intercontinentali balistici, ed è in grado di montare testate nucleari su questi missili. “Nel caso di minaccia imminente gli Stati Uniti avrebbero alcune opzioni, tutte non ideali”, spiega al Sir, Andrew Yeo, professore associato di Scienze politiche alla Catholic University of America di Washington, D.C., che ritiene il dossier nordcoreano il più urgente per il presidente Donald Trump. “Distruggere il missile, negoziare, far sapere che le provocazioni non servirebbero a ottenere concessioni o aiuti economici, come è stato l’approccio durante la presidenza Obama, oppure lanciare una risposta militare”. “Ovviamente – continua Yeo – quest’ultima è una scelta ad alto rischio, e difficile da eseguire. Ma si fa strada nell’opinione pubblica in Corea del Sud, dove tra l’altro il presidente ha subito un impeachment e il governo è molto debole, l’idea che l’eventualità dell’escalation militare dovrebbe essere messa sul tappeto negoziale, e persino l’idea che la Corea del Sud dovrebbe dotarsi di armi nucleari diventa più mainstream, mentre in passato circolava solo in ambienti estremisti”.