
“Non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere, chi spera soltanto nel proprio benessere: quella non è speranza, è sicurezza relativa”. A spiegarlo, a braccio, è stato il Papa, che nell’udienza di oggi ha affermato: “Non si impara a sperare da soli. Non è possibile”. “Nessuno spera da solo”, ha aggiunto sempre fuori testo, per spiegare che “la speranza, per alimentarsi, ha bisogno necessariamente di un corpo, nel quale le varie membra si sostengono e si ravvivano a vicenda”. “Se speriamo, è perché tanti nostri fratelli e sorelle ci hanno insegnato a sperare e hanno tenuto viva la nostra speranza”, ha ricordato Francesco: “E tra questi, si distinguono i piccoli, i poveri, i semplici, gli emarginati. Sì, perché non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere, nel proprio appagamento, chi si sente sempre a posto… A sperare sono invece coloro che sperimentano ogni giorno la prova, la precarietà e il proprio limite. Sono questi nostri fratelli a darci la testimonianza più bella, più forte, perché rimangono fermi nell’affidamento al Signore, sapendo che, al di là della tristezza, dell’oppressione e della ineluttabilità della morte, l’ultima parola sarà la sua, e sarà una parola di misericordia, di vita e di pace”.