Con “il brusco stop al continuo annuncio, da parte del Governo israeliano, di nuove costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania e ad est di Gerusalemme”, Trump “vuol mantenere ben chiaro per sé il bastone del comando, chiarendo bene chi guida e chi deve farsi guidare”. Lo scrive Janiki Cingoli, direttore del Cipmo, Centro italiano per la pace in Medio Oriente, in una nota sul sito cipmo.org. Nello scontro in atto tra “la linea più estremista e legata alle organizzazioni dei coloni israeliani”, rappresentata dal “cerchio magico” vicino al Presidente, e quella “più cauta e legata alla posizione tradizionale Usa”, favorevole alla soluzione del conflitto a due stati, l’uno israeliano l’altro palestinese, espressa dal Dipartimento di Stato, sembra aver prevalso quest’ultima. Per Cingoli “l’opzione più probabile, è che Trump scelga di ricollegarsi alle posizioni espresse nella famosa lettera di Bush padre, il presidente George W. Bush, inviata a Sharon nell’Aprile 2004, lettera che Obama aveva sempre rifiutato di fare propria e di considerare come posizione ufficiale degli Usa. Trump avrebbe quindi buon gioco a riproporla, marcando contestualmente la discontinuità con il precedente presidente”. In quella lettera, ricorda il direttore del Cipmo, tra le varie cose, si faceva riferimento all’accettazione da parte israeliana della Road Map, e alla decisione di Sharon di ritirarsi unilateralmente da Gaza, e definiva, “alla luce delle nuove realtà sul terreno, irrealistico aspettarsi che il risultato dei negoziati sul Final Status sarà un pieno e completo ritorno alle linee del 1949. E’ realistico aspettarsi che ogni accordo sul Final Status potrà essere raggiunto solo sulle basi di scambi (territoriali, ndr) mutuamente concordati, che riflettano tali realtà”.
“Si comprendono meglio, ora le prese di posizione del Ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, che – annota Cingoli – sta cercando d’altronde di riposizionarsi al centro anche alla luce dell’indagine criminale cui è sottoposto il Premier Netanyahu, accreditandosi come suo possibile successore anche sul piano internazionale”. Posizioni che bollavano come “sconsiderate” le proposte avanzate dall’estrema destra del Governo israeliano, guidate da Naftali Bennet, per legittimare i cosiddetti avamposti illegali, e invitavano a concentrarsi sui “grandi blocchi”. “E’ assai probabile che quelle dichiarazioni fossero espresse sulla base di contatti stabiliti con lo staff presidenziale di Trump, già eletto ma non ancora insediato”. E si comprende altresì “l’inedita posizione assunta da Lieberman e Netanyahu sul Piano Arabo di Pace del 2002: i due esponenti israeliani hanno dichiarato di considerarlo un importante punto di riferimento per la ripresa dei negoziati di pace: un modo per riconnettersi a quel prioritario asse sunnita da costruire in funzione anti iraniana, cui punta così fortemente anche il Presidente Trump”.