“Nei giorni in cui ricordiamo il martirio di Giulio Regeni, fanno ancora più impressione le dichiarazioni di Donald Trump sull’uso della tortura. Il presidente americano, in un’intervista all’Abc, ha sdoganato il waterboarding giustificandone l’uso con il diritto degli Stati Uniti di combattere ‘il fuoco con il fuoco’ (‘fire with fire’)”. Lo scrive Mauro Ungaro, direttore della “Vita isontina” (Gorizia). “Dinanzi a queste esternazioni ci saremo aspettati un moto condiviso di indignazione nel nostro Paese – osserva Ungaro -. In primis da parte di quanti, in questi mesi ed in questi giorni, hanno speso fiumi di parole per ribadire il proprio impegno personale ed istituzionale nella ricerca della verità su quanto avvenuto al giovane ricercatore friulano un anno fa a Il Cairo”. Ma “nulla di tutto questo è avvenuto e, tranne qualche isolata voce di protesta, le parole del presidente sono passate pressochè sotto silenzio, venendo bollate, al massimo, come una delle sue ‘sparate’ di inizio mandato”.
Il problema, secondo Ungaro, “è che parlare di tortura in Italia rimane ancora un tabù. La Convenzione Onu sulla tortura del 1989 obbliga gli Stati aderenti ad inserire questo reato nei propri Codici penali: così è avvenuto – ad esempio – in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna. Sino ad oggi, però, il nostro Paese non ha ritenuto di dover ottemperare a quanto previsto dalle Nazioni Unite. È almeno dal 1998 che il Parlamento cerca di approvare una legge che introduca tale fattispecie giuridica nel nostro Ordinamento: tentativi vanificati dai veti incrociati posti, soprattutto, da chi ne teme un’equivoca applicazione all’attività delle Forze dell’Ordine”.
Ungaro ricorda che qualcuno obietta: “Trump, in fondo, prevede di applicare la tortura solo ai terroristi per estorcere loro importanti informazioni che potranno salvare vite umane”. Però, sottolinea il direttore della “Vita isontina”, “questa, è l’atavica motivazione (‘il fine giustifica i mezzi’) che ogni torturatore pone alla base delle proprie azioni per ‘sanare’ anche gli eventuali ‘effetti collaterali’. Giustificare una sola volta la tortura significa giustificarla sempre”.