#FutureOfHumanity
“Somministrando la stessa medicina ad un gruppo di pazienti con la stessa diagnosi non avremo lo stesso risultato, ma quattro diversi. Con l’ingegneria genetica speriamo di riuscire ad arrivare ad una terapia individualizzata, alla medicina personalizzata”. Esordisce così Kevin Fitzgerald, esperto di bioetica dell’Università di Georgetown, Washington, intervenendo alla seconda sessione dell’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura (Pcc) in corso a Roma su “Il futuro dell’umanità: nuove sfide all’antropologia”. Alla base della questione, avverte, rimangono tuttavia alcuni interrogativi. “Che cos’è una buona medicina genomica? Che cosa è una sana salute genomica? Chi decide? L’idea della malattia è determinata socialmente o no?”, si chiede richiamando le “politiche di eliminazione” delle persone con sindrome Down in Islanda e Danimarca. “Esiste un bene comune? Dobbiamo anzitutto chiederci quale sia il concetto di salute. Che cosa informa questo concetto: la scienza, la filosofia, la teologia, la cultura, la famiglia, gli amici?”. Con riferimento all’intervento che lo ha preceduto, in materia di modifica della linea genetica germinale, l’esperto auspica “un camino prudente da parte dell’ingegneria genetica”. “Dobbiamo cercare – sostiene – un quadro antropologico integrativo per la salute, la natura umana e il bene comune. La discussione sul bene comune richiede input da tutte le comunità del mondo. Il progresso tecnologico verrà rallentato, ma la cura della salute sarà più umana. La cosa più importante, infatti, è il modo in cui ci prendiamo cura l’uno dell’altro”. Per Elena Giacchi (Università Cattolica del Sacro Cuore), moderatrice dell’incontro, “la medicina personalizzata deve aprirsi alla consapevolezza del confronto con la sofferenza e il dolore. Il dolore non va eliminato, ma vissuto in maniera degna della natura umana”.