Musica
“L’incisione di un repertorio, qualificato come musica antica, non è compiere un’operazione archeologica, o nostalgica o anche semplicemente culturale”: vuole “restituire un segno sonoro antico e dunque prezioso, capace di resistere in modo fecondo alla storia e continuare così ad essere attuale, vivo”. Lo ha spiegato il maestro Massimo Palombella, direttore della Cappella musicale pontificia “Sistina”, presentando oggi presso la Sala Stampa della Santa Sede il nuovo cd della Sistina, “Veni Domine”. Tutto ciò, ha spiegato, per “offrire anche all’uomo di oggi l’opportunità di andare oltre la contingenza, oltre lo spazio e il tempo e, forse, ritrovare una parte di sé stesso”. “I fondi musicali antichi della Biblioteca Apostolica Vaticana, tra i più cospicui e importanti al mondo, a partire dalla seconda metà del secolo XVIII hanno rappresentato, per la storiografia musicale e per la ricerca musicologica, documenti imprescindibili di riferimento”, ha esordito l’esperto: “I tesori di polifonia dei periodi umanistico, rinascimentale e barocco, conservati soprattutto nelle collezioni Cappella Sistina e Cappella Giulia – ha proseguito – sono stati e continuano ad essere oggetto di studio da parte di ricercatori di tutto il mondo, soprattutto dopo il loro trasferimento dalle cantorie delle rispettive istituzioni di appartenenza alla Biblioteca Apostolica Vaticana”. Quella del Maestro direttore della Sistina, che ha l’opportunità di avere ascesso a tutti i fondi musicali presenti nella Biblioteca vaticana, è “una duplice responsabilità culturale: in primo luogo ridare vita a composizioni ormai del tutto dimenticate; in seconda istanza sperimentare, nel confronto tra manoscritti e stampe antiche, una prassi musicale pertinente, che cerchi di tradurre, grazie agli studi scientifici e ai mezzi oggi a nostra disposizione, il segno grafico in segno sonoro”. “Ciò che accomuna i brani musicali di questo cd è l’intenzione di farne una edizione critica basata o sul manoscritto o sulla stampa antica presente nella Biblioteca Apostolica Vaticana”, ha spiegato Palombella, partendo dall’istanza conciliare di “riportare la musica destinata alla liturgia alla sua funzione primaria, quella di dare forma sonora ad un testo”, come fece il Canto Gregoriano, ma anche la polifonia rinascimentale, che “attraverso la sua grammatica, più evoluta rispetto alla monodia, ha nuovamente dato forma sonora ad un testo spiegando, a suo modo, la Rivelazione”. “Solo in questa prospettiva possiamo collocare rettamente la produzione natalizia del Rinascimento”, in cui insieme al Natale “risuonava intrinsecamente anche la Pasqua, compimento dell’Incarnazione, e nell’insieme si percepiva sullo sfondo, quasi come un retrogusto, la passione e morte di Gesù. È esattamente come nell’antica iconografia, in cui si rappresentava la Natività con il bambino deposto in una mangiatoia a forma di sarcofago, per dire chiaramente che quel neonato dovrà morire per la nostra salvezza”.