“Hanno ammazzato Emanuel, Emanuel è vivo”. Alla notizia del “brutale gesto” di un italiano, trasformato nell’omicidio di Emanuel, nigeriano, richiedente asilo, nelle strade di Fermo, il direttore generale della Fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego, ha ripensato e parafrasato le parole di una famosa canzone di Francesco De Gregori. Le parole, spiega, “condannano un omicidio, frutto certamente di un clima intollerante, purtroppo diffuso non solo nelle Marche, ma anche in altre regioni d’Italia e d’Europa, che sta trasformando le discriminazioni e le conflittualità addirittura in atti di morte. Una morte assurda, ma preparata da questo clima sociale e politico che si nasconde dietro la mano omicida”. Al tempo stesso, “Emanuel è vivo”, nella “sua famiglia, in sua moglie e nella sua figlia morta in grembo, negli altri giovani richiedenti asilo accolti nel seminario vescovile di Fermo, nei tanti giovani che sono arrivati o stanno arrivando in Italia e in fuga soprattutto dall’Africa violentata e offesa da terrorismo, guerre, sfruttamento”. Ora, aggiunge Perego, “tocca a noi aiutare a guardare a questi volti e a queste storie con occhi diversi, con parole diverse, con una cura diversa. È paradossale che questa morte avvenga proprio nelle Marche, la regione italiana che insieme al Veneto e all’Umbria sta segnando per la prima volta nel 2015 il calo del numero degli immigrati: rifiutare fino ad uccidere i migranti significa anche preparare la morte delle nostre città, significa non guardare al futuro”.