“C’è da augurarsi che la condanna e l’indignazione, una volta tanto unanimi e non selettive, che l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi ha suscitato producano un cambiamento profondo e duraturo, spingano i seminatori di odio a riflettere sulle loro responsabilità e consentano alle voci dell’accoglienza di prevalere su quelle dell’intolleranza”. Lo auspica il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, commentando l’omicidio razzista del cittadino nigeriano Emmanuel Chidi Namdi avvenuto a Fermo il 5 luglio. “Fa rabbrividire – afferma Marchesi – il fatto che un uomo, scampato insieme alla sua fidanzata al terrore di Boko haram in Nigeria abbia trovato la morte in Italia, per mano di un aggressore spinto da motivi di odio razziale. L’assassinio di Emmanuel Chidi Namdi ricorda quello del 1989 di Jerry Masslo, a sua volta fuggito dalla persecuzione, in quel caso dell’apartheid del Sudafrica, e ucciso a Villa Literno”. “Da allora – secondo Marchesi -, in quei 27 anni, in Italia nulla pare cambiato. Anzi: espressioni xenofobe e razziste trovano sempre più spazio nei luoghi e nei discorsi istituzionali, nei titoli e nei contenuti di non pochi articoli e soprattutto in quella terra di nessuno che è l’ambiente online, dove ormai il vocabolario dell’odio è pratica quotidiana, assurdamente spacciato e rivendicato per libertà d’espressione. Il tutto accompagnato, non poche volte, da distinguo, giustificazioni, minimizzazioni e dal mancato riconoscimento del movente d’odio”.