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Rifugiati: “Kaire” (Ischia) racconta la storia della famiglia Kababji, in Italia dalla Siria grazie ai corridoi umanitari

“Una normale famiglia nel caos della guerra”. È quella che racconta Gina Menegazzi sul numero di “Kaire”, il settimanale diocesano di Ischia, in distribuzione in questi giorni. “La famiglia Kababji, siriana, è giunta giovedì 16 giugno a Fiumicino – e poi a Ischia – da Beirut, fuggendo dalla guerra civile, grazie ai corridoi umanitari nati da un accordo tra il governo italiano, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e la Tavola valdese”, scrive Menegazzi, spiegando che la famiglia “ci ha accolto nell’appartamento offerto loro dalla diocesi d’Ischia secondo il desiderio del Santo Padre e del vescovo di Ischia, Pietro Lagnese”. “Avevano una vita tranquilla fino a qualche anno fa, in Siria”, poi “a seguito di manifestazioni contro il regime di Assad, represse con il sangue, è cominciata una vera e propria guerra civile, con migliaia di vittime e un numero infinito di profughi”. “La famiglia Kababji si trova nel mezzo di questo conflitto”, con alcuni dei loro cugini che, “davanti alla chiesa, vengono fatti segno, con altri, a un attacco armato e restano gravemente ustionati”. La fuga dalla loro città, Hasakah, verso Zahle, nella valle della Bekaa. “Ma l’Isis si avvicina”, con il suo carico di minaccia verso i cristiani, e per rimanere, ogni 6 mesi devono essere versati almeno mille dollari, una cifra troppo elevata per questa famiglia”. Quando “la situazione è di nuovo pericolosa e insostenibile”, “è il loro parroco, un siriano che vive in Libano, a parlare loro dei corridoi umanitari”. Ed eccoli prima a Beirut, poi a Fiumicino e infine a Ischia. Per Marlene, la più giovane, “era l’ambiente che sognavamo. Un Paese cattolico e sicuro, dove la gente è generosa, dove vorremmo poter trovare lavoro, e una nostra casa”. “Non sognano di tornare nel loro Paese, dove ormai non c’è più niente e nessuno”, afferma Menegazzi, aggiungendo che “stanno studiando l’italiano e vogliono restare nella cattolica Italia”. “Si vede un baratro nei loro occhi – rivela – quando ti dicono: ‘Di molti non abbiamo più notizie, e non sappiamo nemmeno se la nostra casa è ancora in piedi o è stata rasa al suolo'”.