Politica

Stati Uniti: Darnis (Un. Nizza), “necessario rivedere l’interpretazione del fenomeno Trump”

La vittoria di Donald Trump “ha colto molti di sorpresa, in primis per una ragione oggettiva, ovvero la difficoltà ad interpretare la pancia del Paese attraverso i sondaggi che hanno decisamente sottovaluto il fenomeno”. Ma “vi è anche una ragione soggettiva che ha condizionato commentatori ed analisti, ovvero la loro forte identificazione con la candidatura di Hillary Clinton e il rifiuto della candidatura di Trump, spesso percepita e presentata come impraticabile perché politicamente scorretta”. Lo afferma Jean-Pierre Darnis, professore associato all’università di Nizza e direttore del Programma di ricerca su sicurezza e difesa dell’Istituto Affari internazionali (Iai), per il quale scrive un commento sulle elezioni statunitensi. Darnis aveva fra l’altro messo nel conto, già questa estate, la possibile vittoria di Trump, motivandola con una serie di elementi politici. Ora afferma: “Con l’insediamento di Trump bisognerà rivedere l’interpretazione del fenomeno Trump, adottando nuove lenti per leggere la sua presidenza. La delusione seguita alla disfatta di Clinton è tale fra l’intelligentsia e l’establishment americano, ma anche all’interno di quello europeo, che risulta difficile scendere dal carro partigiano per tornare alla valutazione delle politiche, anche nella loro dimensione internazionale”. Osserva: “La campagna di Trump è stata vinta con un forte discorso identitario, invocando il ritorno al primato americano. Questo tipo di inclinazione nazionalista spinge oggi molti a temere un isolazionismo nonché la rottura di una serie di alleanze o addirittura l’uscita dai quadri multilaterali. Certamente questo tipo di messaggio si è riscontrato in una campagna con toni anti-establishment che sconfinavano spesso nella xenofobia. Ma non bisogna però programmare a tavolino le politiche della presidenza Trump prima che vengano decise e attuate, come se si proseguisse una campagna elettorale che da toni catastrofici dovesse necessariamente portare alla catastrofe”. “Vanno evitate – secondo lo studioso – le profezie auto realizzatrici che contribuiscono a considerare la futura presidenza in termini di rottura nociva o instabilità. È quindi urgente aspettare. In aggiunta, si possono sin da ora ricordare alcuni elementi che aiutano a relativizzare i messaggi della campagna. In primis va ricordato che parecchie promesse fatte in campagna elettorale restano tali quando si va al potere. Secondo, Trump era un candidato con un ristretto team che si è imposto al partito repubblicano. Adesso che è presidente dovrà appoggiarsi su un numeroso staff con competenze articolate e all’interno di una dialettica politica con il Congresso”.