
“L’assassinio sempre più frequente di leader sociali in Colombia corrisponde a una scelta sistematica, una strategia per consolidare un potere esistente e frenare lo sviluppo di forze sociali in grado di incidere sul tessuto sociale ed economico. Centrale è anche la dimensione socio-ambientale, collegata alle cosiddette consulte popolari, i referendum previsti tra la popolazione di fronte a grandi progetti idroelettrici e minerari”. Parole dure quelle consegnate al Sir da mons. Darío de Jesús Monsalve Mejia, arcivescovo di Cali, storicamente uno dei vescovi colombiani più impegnati per gli sforzi di pace. In Colombia l’anno è iniziato in modo ben poco promettente per coloro che, come mons. Monsalve, cercano una “pace duratura e integrale”.
Un tragico bilancio. La Defensoría del Pueblo della Colombia ha diffuso giovedì 10 gennaio il tragico bilancio relativo alle uccisioni dei leader sociali nel 2018:
ben 172 leader sociali e difensori dei diritti umani assassinati nel territorio colombiano, 431 nell’ultimo triennio, con un incremento considerevole dopo a firma degli accordi di pace con le Farc.
Una tendenza che è ancora più tragica in questo inizio di 2019, con sette omicidi nei primi dieci giorni dell’anno. A questo si aggiunge la lenta, difficile e solo parziale applicazione dell’accordo di pace del 2016 tra Governo e Farc. Sabato scorso, uno dei leader dell’ex formazione guerrigliera, Iván Marquez, capo negoziatore ai negoziati dell’Avana, sembra uscito definitivamente allo scoperto dopo mesi di clandestinità, come leader dell’ala che dichiara “fallito” l’accordo, attraverso un articolato video in cui denuncia il “tradimento” dell’accordo di pace.
Ma la principale preoccupazione è proprio per quello che succede nel territorio, soprattutto nei dipartimenti periferici, nel sudovest e nella zona del Pacifico, ma anche nel nord del dipartimento dell’Antioquia, o, nel nordest del Paese, nella zona del Catatumbo: leader sociali assassinati quasi quotidianamente, intere popolazioni costrette a fuggire dalle loro case, aumento vertiginoso del narcotraffico.
“Coinvolgere seriamente la popolazione”. “Si tratta di zone nelle quali lo Stato colombiano non ha una chiara presenza istituzionale – spiega mons. Monsalve – e di accompagnamento alla popolazione. Quella pacifica è una costa molto lunga, abitata in gran parte da afro e indigeni, ma finora è stata una zona dimenticata, preda dei nuovi colonizzatori.
Il narcotraffico è figlio di un’economia senza vie d’uscita legali, la coltivazione della coca e di altre sostanze resta l’unica risorsa per i coltivatori più poveri, il piano di eradicazione volontaria e manuale, sostenuto dal precedente Governo, è fallito, anche per le pressioni degli Stati Uniti e il poco entusiasmo politico, qui in Colombia”.
Così, il territorio “è preda di bande vecchie e nuove che lottano per il dominio, la gente sente il bisogno di protezione. Non si va da nessuna parte se lo Stato non include e coinvolge seriamente la popolazione, con l’aiuto della Comunità internazionale”.
Dinamiche complesse e globali. E’ articolata l’analisi di Luis Guillermo Guerrero Guevara, direttore del Cinep (Centro de investigación y educación popular), istituto di ricerca sui temi della pace promosso dai gesuiti. “Il fenomeno delle uccisioni dei leader sociali – spiega al Sir da Bogotá – rappresenta purtroppo una nuova dinamica sociale e politica del Paese ed è legata a varie questioni. Tra queste, la restituzione delle terre, la questione estrattiva e mineraria, a cominciare dai bacini auriferi, il narcotraffico, le esigenze di partecipazione politica che entrano in conflitto con gruppi e mafie molto potenti. Certo,
il processo di pace ha paradossalmente aperto nuovi spazi, quelli prima controllati dalle Farc, che lo Stato non ha riempito”.
Possibili soluzioni? “Non è semplice, in molti casi l’origine dei problemi non sta in Colombia, le dinamiche sono globali. Per fare la cocaina, per esempio, mica basta la foglia di coca… ci vogliono i riduttori chimici, gli ingegneri specializzati… E quelli chi li fornisce?”.
Quello che si può fare, secondo Guerrero, “è un lavoro di accompagnamento delle comunità. Anche per l’azione della Chiesa accompagnare è decisivo, così come saper fare formazione dal punto di vista etico, sociale e politico, anche se questo tipo di formazione sta causando morti. Devo dire che non siamo all’anno zero, ci sono molte iniziative, molti progetti… solo che il bene fa meno rumore del male”.
Accordo di pace: applicazione a rischio. Resta una questione chiave: le difficoltà sul territorio nascono anche “da una reale mancata realizzazione degli accordi di pace – afferma il direttore del Cinep -.
I problemi mi sembrano soprattutto due: il mancato reinserimento nella vita sociale e civile degli ex guerriglieri delle Farc e il ritmo molto lento con il quale si potranno avere risultati sulle riforma agraria, sulla partecipazione politica, sulla riparazione delle vittime. Questo accade anche perché il Governo attuale è contrario all’accordo di pace”.
Conclude mons. Monsalve: “E’ in pericolo l’applicazione dell’accordo con le Farc, la congiuntura politica è difficile. Speriamo che si risolva la situazione in Venezuela, che influisce non poco sul dibattito politico in Colombia. In questo contesto rischia di passare in secondo piano il dialogo con l’Eln (l’arcivescovo di Cali è l’incaricato della Conferenza episcopale colombiana per seguire tale dialogo, ndr.). Speriamo che il Presidente faccia chiarezza e che si ritorni al tavolo delle trattative”.