
Un’incredibile gara di solidarietà da parte del popolo messicano, diventata perfino difficile da gestire, a causa della grande difficoltà a quantificare vittime e danni, operazione fondamentale per dare il via ad un’ordinata attività di soccorso e ricostruzione. Sono le due facce del terremoto in Messico, a sette giorni dalla terribile scossa dell’8.2 della scala Richter che ha provocato, secondo il dato provvisorio più aggiornato, 324 vittime nella zona centrale del paese, a partire dalla capitale.
Le operazioni di soccorso sono frenate dalle continue scosse di assestamento, la più forte delle quali, sabato scorso (con epicentro nello stato sudoccidentale di Oaxaca), ha provocato quattro vittime, riportando il terrore negli stati colpiti dall’altro sisma dello scorso 7 settembre, l’Oaxaca e il Chiapas.
L’attività della Caritas è febbrile, pur nelle difficoltà di coordinamento.
Come spiega il segretario esecutivo della Caritas messicana, padre Rogelio Narváez, “i mezzi di comunicazione si sono focalizzati sulle zone urbane, soprattutto a Città del Messico”, ed “esiste una mancanza di comunicazione e invio di aiuti umanitari nelle zone rurali. Si sta realizzando un aiuto senza pianificazione perché non ci sono informazioni sui danni e sulle necessità di ciascuna comunità”.
Il vescovo rincuora tra la distruzione. Proprio da queste zone periferiche il Sir ha raccolto una preziosa testimonianza, quella del vescovo di Cuernavaca, monsignor Ramón Castro. Da giorni il vescovo sta percorrendo incessantemente, nonostante i collegamenti precari, il territorio della sua diocesi, che coincide con buona parte del piccolo stato del Morelos, a sud di Città del Messico. Se nel distretto della capitale le vittime accertate sono 186, nel Morelos la triste conta è arrivata a 73 (45 invece i morti nel vicino stato di Puebla). Ma se il numero della capitale è dovuto anche alla sua altissima densità abitativa è proprio quello della diocesi di Cuernavaca, da quanto si può comprendere, il territorio maggiormente falcidiato dal sisma. Intere cittadine, come Cuautla e Jojutla sono praticamente cancellate.
“Una conta dei danni è impossibile – dice mons. Castro -. Migliaia e migliaia di case crollate, migliaia e migliaia di sfollati. Tantissime abitazioni sono inabitabili. E poi c’è la situazione delle chiese, molte delle quali di grande valore storico e artistico. La nostra cattedrale di Cuernavaca, edificata dai francescani, è la quinta più antica del continente. Ai piedi del vulcano c’erano undici conventi storici. Molti sono crollati, stiamo assistendo alla distruzione della nostra storia e della nostra cultura.
Secondo le prime stime, nella nostra diocesi ci sono centoundici chiese danneggiate che non si possono utilizzare, stiamo improvvisando nei cortili luoghi per celebrare la Messa ed assistere il nostro popolo spiritualmente. Tutte le parrocchie sono state da me esplicitamente invitate a non far mancare il servizio spirituale alla popolazione”.
A tutti coloro che incontra in questi giorni il vescovo prova ad indirizzare un messaggio di speranza: “Sono giorni davvero tristi, drammatici, dolorosi, ma sto condividendo con la mia comunità, con il mio popolo, con il mio gregge, un’idea che mi sembra fondamentale.
Al vedere quello che è successo, certamente sono crollate le case, le chiese, i paesi, ma non sono crollate la fede, la speranza, la fortezza che ci fanno andare avanti. Il cuore dei messicani ha una grande potenzialità, che si è vista proprio in questi giorni”. Ed aggiunge: “Personalmente chiedo ai miei fratelli di vedere ciò che Dio ci sta chiedendo, di scorgere i segni dei tempi. Sono momenti difficili in tutto il mondo, e in Messico si assiste in poco tempo a cinque uragani, a tre terremoti. Uno potrebbe pensare che sta arrivando la fine del mondo. Ma questa non è la fine del mondo, dovrebbe invece essere la fine del nostro egoismo, dalla nostra superbia, del nostro odio. Dio sta chiedendo a tutta l’umanità che sta passando per il dolore una nuova umanità e un cuore nuovo”.
Una solidarietà che si fatica ad incanalare. Con il vescovo torniamo a parlare degli aiuti che vengono promossi di concerto con la locale Caritas diocesana: “Cerchiamo di aiutare nel mondo migliore la popolazione”.
Oltre alle mense e ai centri di accoglienza, mons. Castro pensa anche a strumenti adeguati per arrivare ad una mappatura del territorio e delle richieste più urgenti: “Già da alcuni mesi stavamo implementando un programma grazie alla consulenza di un ingegnere cibernetico. Volevamo creare un osservatorio sulla violenza e sull’insicurezza. Ora stiamo cercando di portare delle modifiche all’applicazione, per consentire una mappatura e una ricerca molto dettagliata in tutte le parrocchie, con l’aiuto di giovani volontari. Così, potremo capire chi e perché sta chiedendo aiuto, dove sono le maggiori urgenze. Sarebbe uno strumento molto utile per indirizzare gli aiuti. In questo momento, infatti, abbiamo un’autentica e straordinaria testimonianza di solidarietà, ma non siamo capaci di gestirla. Speriamo in una settimana o dieci giorni di poter testare questa applicazione, che potrebbe costituire un’esperienza pilota anche per le altre zone colpite dal terremoto”.