Ammutinamenti e saldi pilastri

Come è andata lo sappiamo, come andrà nessuno può azzardarlo ora, sulla soglia di un agosto rovente e non più solo per il solleone. Quando si sono mostrate le prime avvisaglie di una crisi dai più giudicata inspiegabile era sembrato strano un ammutinamento in piena tempesta: inflazione, guerra, crisi energetica, siccità, incendi sono ondate che sconquassano e richiedono mano salda. Prima regola del mare: portare in salvo la nave (fuor di metafora l’Italia) e con essa i marinai (gli italiani); poi verranno i giorni dei chiarimenti, delle ragioni palesate anche a muso duro.

(Foto ANSA/SIR)

Come è andata lo sappiamo, come andrà nessuno può azzardarlo ora, sulla soglia di un agosto rovente e non più solo per il solleone. Quando si sono mostrate le prime avvisaglie di una crisi dai più giudicata inspiegabile era sembrato strano un ammutinamento in piena tempesta: inflazione, guerra, crisi energetica, siccità, incendi sono ondate che sconquassano e richiedono mano salda. Prima regola del mare: portare in salvo la nave (fuor di metafora l’Italia) e con essa i marinai (gli italiani); poi verranno i giorni dei chiarimenti, delle ragioni palesate anche a muso duro.
Accadde così anche nell’ammutinamento più famoso della storia della Marina: il vascello Bounty, guidato dal capitano Bligh, tentò per trentun giorni di fila di doppiare Capo Horn flagellato dal maltempo. Temendo il naufragio nessuno si sottrasse. Fu solo allo scampato pericolo che la ciurma s’impossessò della nave, abbandonando il capitano al suo destino su una lancia.
Evidentemente, anche se una sua parte si chiama Transatlantico, sulla nave della politica non funziona così. Al Parlamento i fedeli al Movimento cinque stelle hanno creato il caso non dando la fiducia al Decreto aiuti di Draghi; al Senato Forza Italia e Lega hanno scelto di non partecipare alle votazioni determinando la definitiva salita al Colle del premier.
Tanto tuonò che piovve, si suol dire. Eppure, anche se con manifesti disagi e disallineate visioni, la navigazione continuava tanto che l’esito della crisi ha sorpreso molti, dentro e fuori il Paese. Ha sorpreso – si è letto – il premier stesso come il Presidente della Repubblica per il quale “lo scioglimento delle Camere è sempre l’ultima scelta da compiere”; ha sorpreso il migliaio di sindaci subito schieratisi per la continuazione del governo; ha sorpreso i tanti sottoscrittori delle varie petizioni circolanti in rete. Incredulo e contrariato si è mostrato il mondo del fare, dagli industriali ai piccoli imprenditori, prontamente dichiaratisi pro continuazione del governo, consci dei tanti pericoli che concretamente minano e mineranno i giorni a venire: dall’inflazione al costo energia, dal costo del lavoro alla reperibilità delle materie prime, fino alla necessità dei fondi del Pnrr. Non meno incredulo il resto d’Europa, o una buona parte, che al governo Draghi – e all’Italia da lui guidata – dava massima fiducia.
La realtà, comunque, resta una: si va alle urne il 25 settembre e senza pause, come ha rimarcato Mattarella. Lo impongono i tempi tecnici della scaletta preelettorale: dal 12 al 14 agosto vanno depositati al Viminale i contrassegni e i simboli; il 21 e 22 agosto vanno presentate le liste. La campagna elettorale, già vivace da un pezzo, ora freme e già scalcia.
Si aprono giorni e settimane di corteggiamenti, schieramenti, ribaltamenti. Il centro destra, fiutando il profumo della vittoria, serfa sulle onde dell’entusiasmo in vista dell’agognato traguardo. Meta non diversamente ambita da chiunque faccia politica e ora sfrutta la pur non provocata realtà. Il Movimento ha la necessità prima di ridefinirsi dopo la scissione di Di Maio. Il Pd si è manifestato immediatamente fedele al Draghi pensiero e se ne fa, come altre posizioni centriste, portavoce e continuatore. Chi si unirà a chi se nessuno ha i numeri per vincere da solo?
Sono questi, si dice, i giorni dei giochi: espressione inappropriata a definire la prossima squadra di governo che scriverà pagine di un futuro dalle tante questioni aperte che vanno da un debito pubblico di quasi 3mila miliardi di euro alle famiglie in povertà crescente, da bollette e benzina proibitive senza lo scudo dello stato ad una pandemia che picchia ancora duro, fino alla guerra che minaccia di chiudere i rubinetti di gas e petrolio non solo per far restare al freddo i cittadini ma soprattutto per bloccare le industrie e il Paese.
Le parole di richiamo del Presidente della Repubblica sono alla responsabilità e all’impegno di tutti per il bene del paese: su come vengano recepite difetta l’ottimismo. Se la politica si è fatta liquida come la società, su quali saldi pilastri sapremmo rifondare l’azione del nuovo governo?

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