Un anno per riparare

La recente tornata elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali e per i referendum sulla giustizia, sposta l’attenzione, momentaneamente, dal conflitto in Ucraina alle vicende interne del nostro Paese. Una esigenza, peraltro, dettata non solo dalla necessità di fare il punto,a meno di un anno dalle elezioni del 2023, sulla situazione dell’Italia, ma anche per gli effetti che i risultati elettorali potrebbero avere sulle sorti del governo, a partire proprio dalle iniziative da prendere a sostegno delle popolazioni ucraine. Nonostante il ridotto numero di cittadini - 9 milioni- chiamati a votare, dalle elezioni di domenica 12 giugno sono scaturite almeno tre indicazioni: il crescente tasso di astensione (circa il 50%),la bocciatura dei referendum e il permanere di uno stato di malessere di due forze – Lega e 5S - che, benché appartenenti alla maggioranza di governo, mantengono nei confronti dell’esecutivo un atteggiamento ambiguo e minaccioso, tipico dei partiti di opposizione.

(Foto: ANSA/Sir)

La recente tornata elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali e per i referendum sulla giustizia, sposta l’attenzione, momentaneamente, dal conflitto in Ucraina alle vicende interne del nostro Paese. Una esigenza, peraltro, dettata non solo dalla necessità di fare il punto,a meno di un anno dalle elezioni del 2023, sulla situazione dell’Italia, ma anche per gli effetti che i risultati elettorali potrebbero avere sulle sorti del governo, a partire proprio dalle iniziative da prendere a sostegno delle popolazioni ucraine. Nonostante il ridotto numero di cittadini – 9 milioni- chiamati a votare, dalle elezioni di domenica 12 giugno sono scaturite almeno tre indicazioni: il crescente tasso di astensione (circa il 50%),la bocciatura dei referendum e il permanere di uno stato di malessere di due forze – Lega e 5S – che, benché appartenenti alla maggioranza di governo, mantengono nei confronti dell’esecutivo un atteggiamento ambiguo e minaccioso, tipico dei partiti di opposizione. Un motivo questo che giustificherebbe il calo di consensi subiti dalle due formazioni populiste negli ultimi tempi. Siamo di fronte a una situazione politica che desta non poche preoccupazioni, non solo per i tanti problemi ancora da affrontare nell’ultimo anno di legislatura,ma anche per le prospettive future del Paese. La delicata situazione economica che stiamo attraversando porta con sé le conseguenze di due anni di pandemia e di oltre quattro mesi di guerra. Con una inflazione galoppante, aggravata dalla crisi del petrolio e con il permanere di ampie situazioni di disagio sociale – l’ultimo rapporto Istat segnala ancora circa 6 milioni di persone in “povertà assoluta” – l’ultima cosa di cui oggi ha bisogno il Paese è una crisi di governo! Al contrario, è proprio questo il momento – se si vuole evitare che il Paese precipiti nel caos – di serrare le fila e lavorare tutti uniti per il bene comune. Perché se non si prenderanno rimedi in tempo, l’Italia si presenterà alle elezioni politiche del 2023 nelle condizioni peggiori: una accentuata disaffezione degli elettori verso la politica, un clima di contrapposizione fra le formazioni politiche e all’interno delle coalizioni e un sistema elettorale inadeguato all’attuale contesto. Una combinazione di fattori che scaturisce da una profonda crisi dei partiti, che genera,a sua volta, una preoccupante fragilità della democrazia. La scomparsa dei tradizionali partiti – un tempo efficaci strumenti di mobilitazione dei cittadini – e lo svuotamento del dibattito all’interno degli stessi, ha trasformato le varie formazioni da luoghi di confronto attorno ai problemi – la “cosa comune”- a comitati elettorali al servizio dei leader e dei loro gruppi dirigenti. Riconquistare la fiducia degli elettori é un’impresa che richiede un ampio e lungo impegno culturale, cui stanno tentando di dare una risposta, tra i tanti soggetti, le varie scuole cattoliche di formazione politica. In attesa che maturino i tempi, tocca ai partiti dare oggi un supplemento di lealtà e coerenza nei confronti del governo per portare a termine i tanti punti in programma, primo fra tutti il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), uno strumento irripetibile per fare decollare il Paese sul piano delle riforme e delle opere strutturali. La maggiore consistenza di fondi(oltre 200 miliardi) assegnati al nostro Paese- più di un terzo di quelli complessivi – lo sottopongono a controlli più rigorosi da parte degli organi europei. Chi può assumersi la responsabilità di mandare a monte misure che potrebbero contribuire a risollevare le sorti del Paese e a dare, in particolare, risposte ai tanti lavoratori disoccupati e alle categorie sociali svantaggiate? Senza trascurare la necessità di trovare un accordo su una legge elettorale che eviti il formarsi,come è accaduto in questa legislatura,di governi di comodo, rabberciati, con visioni diametralmente opposte. Col risultato di avere lasciato aggravare, nonostante i vari provvedimenti demagogici assunti,i problemi dei cittadini e aver costretto Mattarella a chiamare Mario Draghi al capezzale dell’Italia per puntare alla rinascita del Paese.

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