Validità di una scelta e prospettive per il futuro

È trascorso poco più di un anno, da quel 13 febbraio del 2021, quando Mattarella chiamò Mario Draghi al capezzale dell’Italia per aiutarla a uscire dalla crisi sanitaria, politica ed economica in cui era piombata. Non che oggi l’Italia sia completamente fuori da quella situazione critica – i tanti problemi irrisolti sono sotto gli occhi di tutti – tuttavia, a nessuno può sfuggire come, in questo breve spazio, siano venuti da Palazzo Chigi segnali nuovi ed efficaci sotto più profili.

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

È trascorso poco più di un anno, da quel 13 febbraio del 2021, quando Mattarella chiamò Mario Draghi al capezzale dell’Italia per aiutarla a uscire dalla crisi sanitaria, politica ed economica in cui era piombata. Non che oggi l’Italia sia completamente fuori da quella situazione critica – i tanti problemi irrisolti sono sotto gli occhi di tutti – tuttavia, a nessuno può sfuggire come, in questo breve spazio, siano venuti da Palazzo Chigi segnali nuovi ed efficaci sotto più profili. L’alto gradimento dei cittadini, nei confronti del governo Draghi, ne è la testimonianza più evidente. Tenere, sotto lo stesso ombrello, forze politiche di varia estrazione, mosse dalla tentazione di agire, nello stesso tempo, come forza di governo e di opposizione, è stato il capolavoro di Mattarella e Draghi, due statisti che, da ogni parte, ci invidiano. Ma ciò che più conta, al di là degli innegabili risultati ottenuti nei vari ambiti, è l’affermazione di uno stile di governo competente, sobrio, operativo. Un modello che tutti vorremmo vedere riprodotto in futuro. Dopo un comprensibile, breve allentamento dei ritmi, si osserva che “Draghi è tornato a fare Draghi”. A iniziare dalla solita chiarezza con cui risponde a chi, strumentalmente, lo tenta sulle sue prospettive future: “ringrazio i politici che mi candidano a tanti posti, ma se decidessi di trovarmi un lavoro lo farei da solo». Convinto, com’è, che è proprio fra i politici che non gode tanta simpatia, al punto che molti di loro, pur di sbarrargli la strada, hanno “costretto” Mattarella a concedere il bis. Ora c’è la necessità di rimboccarsi le maniche per realizzare, in fretta e bene, il vasto programma in agenda, con in testa il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Occorre scongiurare, in particolare, il pericolo di dovere restituire i fondi alla Comunità europea per i progetti che non si realizzeranno. Bando, allora, a ogni tentativo di intralciare l’azione del governo con richieste strumentali, finalizzate a raccogliere qualche consenso in più o, peggio ancora, avviare un anno di campagna elettorale. Bisogna invertire la marcia. C’è l’opportunità, purché lo si voglia, di fare tesoro di quest’ultimo scorcio di legislatura per risolvere qualche problema in più e porre, nel contempo, le premesse per affrontare la prossima legislatura in maniera più dignitosa. Gli accadimenti di questo primo periodo del 2022 stanno dimostrando come, la maggior parte dei problemi, derivino principalmente dalla litigiosità dei politici e dalla loro incapacità di prevederli in tempo. La questione del caro bollette, solo a mo’ d’esempio, al di là dei venti di guerra dall’Ucraina, doveva essere prevista e affrontata da anni. E, invece, di fronte alle varie soluzioni alternative alle fonti energetiche non rinnovabili (petrolio, gas e carbone) si è sempre risposto, per motivi ideologici, con i soliti rinvii o con i tanti “no”. Si è governato a vista, senza una visione strategica, con la conseguenza di dovere pagare oggi il conto per le mancate scelte di ieri. In vista delle elezioni del 2023, le forze politiche hanno il dovere di attrezzarsi affinché non si ripetano gli errori del passato. C’è un sistema politico che cade a pezzi:la coalizione di destra, come ha dovuto ammettere lo stesso Salvini, “si è sciolta come neve al sole”; a sinistra, il progetto del Pd di fare un unico polo con il movimento di Grillo, si è arrestato di fronte al progressivo dissolvimento dei 5Stelle; mentre l’idea di costruire un’area di centro, contenente i cespugli generati dalle costole dei vari partiti, sta perdendo consistenza. Anche il dibattito sulla legge elettorale – maggioritario o proporzionale – è condizionato più dalla quantità di seggi da conquistare che dall’esigenza di assicurare la governabilità del Paese. Anche se può apparire illusorio confidare, in queste condizioni, in una prodigiosa conversione, l’auspicio è che le forze politiche inizino, almeno, a guardare a una nuova classe politica in grado di operare, nell’interesse dei cittadini, con competenza, onestà, capacità di mediazione e orientamento al bene comune.

(*) direttore “La Vita diocesana” (Noto)

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