Timonieri ed equipaggio

Potrebbe dirsi un binomio perfetto: Mattarella e Draghi, il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio, chiamato da Mattarella stesso. Lo dicono i fatti: prima i 759 voti degli elettori che nel Parlamento ad aule riunite hanno rivoluto e costretto a un non desiderato bis il primo, poi i 55 lunghi applausi ricevuti dallo stesso riconfermato presidente in Parlamento il 3 febbraio, giorno dell’insediamento.

(Foto: Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Potrebbe dirsi un binomio perfetto: Mattarella e Draghi, il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio, chiamato da Mattarella stesso. Lo dicono i fatti: prima i 759 voti degli elettori che nel Parlamento ad aule riunite hanno rivoluto e costretto a un non desiderato bis il primo, poi i 55 lunghi applausi ricevuti dallo stesso riconfermato presidente in Parlamento il 3 febbraio, giorno dell’insediamento.
Quegli applausi svelano anche il sollievo venuto dal sapere di poter continuare a vivere i giorni di una pandemia, piovuta come un ciclone nelle vite e nelle economie di tutti, guidati da questo Presidente e da questo premier. La loro serietà di impegno e di lavoro, la loro saldezza, l’eco della stima internazionale di cui godono, costituiscono un’àncora di stabilità a cui gli stessi grandi elettori si sono aggrappati, ben rappresentando in questo il desiderio del Paese. Ad esso si è aggiunto, nei giorni successivi alla rielezione, il plauso pressoché unanime giunto dai leader d’Europa e Usa.
Un sollievo non solo morale: gli ultimi dati economici lo fotografano in quel Pil al +6,5%, un tasso di crescita che l’Italia non vedeva dal 1976. Ma la tempesta è lungi dall’essere passata e, se pur confidando nella prossima bonaccia, molto ci sarà ancora da remare per raggiungere lidi più tranquilli.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è infatti un salvagente corposo ben foderato di risorse (oltre 200 miliardi di euro) ma è anche vero che queste non sono a fondo perduto: vanno concretamente tradotte in progetti di sviluppo e trasformazione del paese e vanno, in quanto prestiti, restituite. La stabilità prospettata va quindi vestita di dinamismo e di operosità. Non si può infatti dimenticare il peso del nostro debito pubblico, volato al 160% del Pil con una impennata registrata in concomitanza con la pandemia. Si tratta di 2.700 miliardi di euro di debito, un terzo dei quali sono nelle mani dei creditori esteri. Una zavorra appesantita ulteriormente dagli interessi sul debito che vanno pagati e gravano non poco sulla spesa pubblica ora alle prese anche con il caro bollette.
Nel quadro non facile dei mesi e anni a venire la saldezza dei timonieri è dunque una dote fondamentale sia per la conduzione seria, impegnata e credibile della nave Italia – rispettando scadenze e onorando i patti -, sia per le risposte alle sempre possibili quanto imprevedibili tempeste. Draghi è uno stimato homo faber, che ha dimostrato il suo valore prima in Bce e ora alla guida del paese; Mattarella è un saggio pacificatore che con ponderate parole ha individuato percorsi virtuosi la cui realizzazione pratica spetta ora alla nazione: quella organizzata dalla politica e realizzata dai cittadini.
Se nel suo primo discorso da Presidente, la parola guida di Mattarella era stata “speranza”, in questo suo secondo si è trasformata in “dignità”. Una dignità maggiorenne, poiché pronunciata diciotto volte, eppure una dignità non sufficiente se tanto l’ha invocata, accostandola ai temi tanto alti e quanto quotidiani di lavoro, scuola, vaccini, giovani, razzismo, antisemitismo, violenza sulle donne, giustizia e giusto peso del parlamento. Un ritornello che il presidente auspica possa farsi parola guida per tutti.
Una cosa è certa: per la sicurezza della nave servono, ma non sono sufficienti, eccellenti timonieri. Una nave solca sicura i mari se tutti i marinai svolgono le loro mansioni, seriamente e puntualmente, ciascuno – appunto – con la dignità che gli è propria, dai mozzi agli ufficiali di coperta. Una nave solca sicura i mari se quella dignità non è solo esibita come bandiera al vento ma se sa farsi modus operandi di una quotidianità impegnata, laboriosa, dinamica, seria. Se quella invocata dignità si fa non parola ma gesto concreto.
Come riuscirci? Lo ha dimostrato nei fatti Mattarella stesso col suo secondo sì ed è un esempio molto scomodo quello di chi, pur avendo altri e più riposanti disegni sul suo futuro, chiamato a continuare il servizio, con responsabilità non vi si sottrae. Lo abbiamo voluto e applaudito proprio per questo, logica vorrebbe non tradirlo ora nei fatti. A cominciare dalla politica, che a pochi giorni dalla rielezione già mostra profonde crepe nella coesione, fino a tutti noi: ciascuno nelle fatiche di ogni giorno.

(*) direttrice “Il Popolo” (Pordenone)

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