La pandemia ci provoca

Stanno arrivando le “feste dei santi e dei morti”. Sono giorni da sempre venati da una sottile atmosfera di nostalgia. I ricordi di amici e parenti che non ci sono più, le visite ai cimiteri, gli incontri con persone in visita ai loro cari contribuiscono a questa atmosfera. Quest’anno però, in uscita forse dalla durissima esperienza della pandemia, si accumulano altri pensieri. La domanda sul senso della vita, la morte sperimentata più volte e vicina a noi, propone nuove riflessioni. Sta crescendo, anche in Italia, seppure meno che altrove, il fenomeno delle dimissioni in campo lavorativo, dovute ad una nuova consapevolezza del valore della vita.

(Foto SIR/Commissione europea)

Stanno arrivando le “feste dei santi e dei morti”. Sono giorni da sempre venati da una sottile atmosfera di nostalgia. I ricordi di amici e parenti che non ci sono più, le visite ai cimiteri, gli incontri con persone in visita ai loro cari contribuiscono a questa atmosfera. Quest’anno però, in uscita forse dalla durissima esperienza della pandemia, si accumulano altri pensieri. La domanda sul senso della vita, la morte sperimentata più volte e vicina a noi, propone nuove riflessioni. Sta crescendo, anche in Italia, seppure meno che altrove, il fenomeno delle dimissioni in campo lavorativo, dovute ad una nuova consapevolezza del valore della vita. Tutto ciò ha cambiato di fatto il senso del lavoro; lo si esige come luogo di umanizzazione. La ripresa ha accelerato i ritmi produttivi fino a occupare spazi eccessivi. Sempre più sembra prendere forza lo slogan “Si vive una volta sola”. Il lavoro da remoto per molti ha significato collegamenti da casa, con conseguenze positive per l’ambiente e maggiore elasticità negli orari. Di fatto, ha anche invaso i nostri spazi domestici e tutta la nostra vita famigliare e sociale. Già i cellulari ci avevano reso sempre raggiungibili, sempre in ufficio, sempre al lavoro. Ora si cerca una migliore qualità della vita; si cerca un senso in quello che si fa. Il lavoro deve far parte del progetto della vita, non la vita parte del progetto di lavoro e ad esso sacrificata. Questo significa che lo scopo si modifica rispetto al primato del reddito. Anche in questo ambito si coglie un cambiamento epocale. Il valore del capitale non è più al centro, può divenirlo quello esistenziale. Certo è solo un segnale ancora debole, ma già annuncia una novità. Sta probabilmente cambiando il concetto guida della civiltà occidentale. Almeno si spera, perché coinvolge l’idea del rispetto dell’ambiente, non come lotta per la sopravvivenza ma come componente di un nuovo progetto in cui si promuove una migliore condizione di vita, dove si recupera il suo senso e il suo scopo. Forse potrebbe essere questo il vero miglioramento proveniente dalla pandemia. È un nuovo pensiero che rende evidente la arretratezza delle lotte contro il green pass, contro la vaccinazione e altro, e con questo la ventata di “rivoluzionarismo” non solo inutile e marginale ma anche dannoso. Si tenta di rallentare i processi verso uno sviluppo nuovo e si creano spazi per violenze demenziali. Ciò che vale è veramente la vita, vissuta però in pienezza: questo ci dicono i nostri morti che andremo a visitare.

(*) direttore “Il Momento” (Forlì)

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