Sberla sonora

Un anno sottratto ai 16 o ai 20 finora vissuti è molto di più di uno da togliere a chi ne ha 50 o 60 o 70

foto SIR/Marco Calvarese

E poi dicono dei giovani. Dicono pure che come ci sono stati quelli del sei politico in pagella e del 18 all’università, adesso potremmo avere quelli dell’anno del Covid… Basta con queste generalizzazioni che vengono da chi vede assottigliarsi l’orizzonte e non vuole mollare di un centimetro. E allora che fa costui? Denigra quelli che vengono dietro, che crescono e possono essere migliori di quanti li hanno preceduti.

Chi tra noi, a 15, a 18 o a 25 anni sarebbe stato recluso in casa per un anno e mezzo attaccato a uno smartphone? A studiare a capofitto, senza amici, senza potersi vedere la sera e neppure la domenica. Impegnarsi e basta per prepararsi, giustamente, un futuro, al termine della pandemia. Sui libri a sudare per farsi interrogare ed esaminare lungo un percorso per nulla semplice, inedito per tutti. Senza divertimenti, senza sport, senza distrazioni. Loro, i giovani di oggi, le nuove generazioni che in maniera sbrigativa a volte liquidiamo come fannulloni o mammoni, loro ci sono stati.

Lì hanno sofferto e combattuto, per lo più in silenzio, la loro battaglia. La loro guerra degli anni Duemila. Ci sono stati in trincea, senza tante storie. Ogni tanto hanno anche protestato. Noi non lo avremmo fatto? Ma hanno anche fatto il loro dovere, eccome.

Un anno sottratto ai 16 o ai 20 finora vissuti è molto di più di uno da togliere a chi ne ha 50 o 60 o 70.

Ma vogliamo mettere la sonora sberla che ci hanno dato correndo in massa per farsi vaccinare? Chi se lo sarebbe mai aspettato? Incredibile e bellissimo, ammettiamolo. Basta ricordare qui quanti, fra i 50enni e i 60enni, hanno accampato storie per rimandare la decisione di dire sì alla vaccinazione. E molti sono lì che ancora ci pensano. Invece i nostri giovani, quelli di cui spesso parliamo male, loro non ci hanno pensato due volte. Loro sì che sono stati decisi.

Hanno dimostrato che vogliono uscire da questa reclusione forzata. Vogliono riacquistare libertà di movimento e di relazione, quelle che più sono mancate in questo anno e mezzo di vita sospesa. Grandiosi questi ragazzi che non vedono l’ora di poter tornare ai loro progetti Erasmus per poter costruire quell’Europa che i nostri padri ci hanno consegnato cui i nostri figli ambiscono più che mai, senza se e senza ma.

Lì è il nostro futuro. I giovani ce lo hanno ricordato con una lezione da applausi.

(*) direttore del “Corriere Cesenate”

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