La zona bianca non cancelli la memoria

La zona bianca sta diventando il simbolo della vittoria estiva dell’Italia nella lotta contro il Covid-19. Anche per il Veneto, da questa settimana, i vincoli che per mesi hanno segnato le nostre vite, limitando innanzitutto e soprattutto la nostra socialità, sono quasi scomparsi. Resta l’obbligo della mascherina e il distanziamento fisico.

La zona bianca sta diventando il simbolo della vittoria estiva dell’Italia nella lotta contro il Covid-19. Anche per il Veneto, da questa settimana, i vincoli che per mesi hanno segnato le nostre vite, limitando innanzitutto e soprattutto la nostra socialità, sono quasi scomparsi. Resta l’obbligo della mascherina e il distanziamento fisico.
Vittoria estiva dicevamo. Per affermare, infatti, che questa sia, finalmente la sconfitta non solo stagionale ma definitiva del virus che, nel nostro Paese, ha provocato in 15 mesi più di 126mila morti e 4 milioni 230mila contagiati, conviene prudentemente attendere. Non solo per scaramanzia, ma per responsabilità.
Abbiamo ancora (speriamo) nella memoria cosa accadde dopo l’estate 2020 vissuta sull’onda del “liberi tutti” e dell’illusione che il peggio fosse passato: l’autunno rappresentò un brusco e drammatico risveglio e presentò il conto a tanta superficialità con le curve in veloce e sorprendente risalita.
La differenza fondamentale rispetto ai mesi estivi del 2020 Џ rappresentata, naturalmente, dal vaccino che dallo scorso dicembre è l’arma in pIù e, speriamo, quella decisiva. Dopo le difficoltà, le incertezze e le polemiche dei primi mesi, la campagna vaccinale ha preso nel nostro Paese un ritmo deciso e molto importante, tanto da superare in questi giorni le 600mila somministrazioni giornaliere. й dunque bello e rafforza la speranza il poter ritrovarsi, nel rispetto delle regole Covid, in gruppo. I ragazzi innanzitutto, ma anche gli anziani, le famiglie. й bello rivedere le piazze che si popolano nuovamente, i bar e ristoranti che ricominciano ad animarsi, gli oratori che riprendono a vivere con i ragazzi di gruppi e associazioni, le diverse località turistiche che tornano a essere meta per molti italiani e non solo. Il tutto in un clima comunque prudente, spesso rallentato da un timore che accompagna ancora molti.
Ci vorrà tempo per recuperare quella che definiamo un qualche tipo di normalità. Nel frattempo, infatti, la pandemia ha cambiato, talvolta in modo irreversibile, i connotati del panorama economico, sociale, politico, culturale e anche ecclesiale. Quella che ritroveremo sarà, dunque, una normalità differente, e sarà tanto più una opportunità tanto quanto riusciremo a tenere desta la memoria di cosa abbiamo vissuto in questo tempo così incredibile. Per questa ragione, come ci siamo detti altre volte, è bene non pensare di ritornare a come eravamo prima.
E’ decisivo ricordare che quanto accaduto è il portato della stessa azione scriteriata dell’uomo, che ha ignorato colpevolmente i molteplici segnali che la natura manda da anni. Dunque, come stanno ripetendo da tempo gli esperti, qualcosa di simile può ritornare. Serve un cambio di paradigma a partire dal quale impostare le nostre vite. La transizione ecologia, uno degli assi del Next Generation Eu, per essere davvero tale e aprire a un futuro sostenibile e inclusivo chiede una vera conversione ecologica, come già indicato peraltro, in modo lucido e coraggioso da papa Francesco sei anni fa nella Laudato Sì.
Questa nuova normalità ancora una volta dipenderà da ciascuno di noi e dalle nostre scelte. E questo anche a livello ecclesiale. Anche in questo ambito nulla è automatico e certo. Servono decisioni che sappiano cogliere i nuovi percorsi e possibilità che la pandemia ha svelato. La chiamata sinodale di papa Francesco è in questo una indicazione chiarissima che non lascia dubbi e che interpella tutti laici, consacrati e ministri ordinati.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)

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