Sono le persone a fare la differenza

Con la cronometro di Milano, domenica scorsa, si è conclusa la 104a edizione del Giro d’Italia. Ogni anno lo seguo, per quanto mi è possibile, con gioia e un pizzico di nostalgia: mi torna alla memoria mio nonno, che si metteva davanti al televisore e, da esigente cultore, seguiva le alterne vicende del Giro. Erano gli anni di Baronchelli, Saronni e Moser ed io, bambino, guardavo con ammirazione questo affascinante spettacolo del mondo dei "grandi".

(Foto ANSA/SIR)

Con la cronometro di Milano, domenica scorsa, si è conclusa la 104a edizione del Giro d’Italia. Ogni anno lo seguo, per quanto mi è possibile, con gioia e un pizzico di nostalgia: mi torna alla memoria mio nonno, che si metteva davanti al televisore e, da esigente cultore, seguiva le alterne vicende del Giro. Erano gli anni di Baronchelli, Saronni e Moser ed io, bambino, guardavo con ammirazione questo affascinante spettacolo del mondo dei “grandi”.

In questo 2021, la kermesse ciclistica ha assunto dei significati nuovi: non si è trattato solo di un evento sportivo tra i più amati dagli appassionati (e non solo), ma anche di un’espressione collettiva della voglia di superare ed andare oltre la pandemia. In tanti hanno seguito il Giro, non soltanto alla Tv o alla radio, ma lungo le strade d’Italia per vedere dal vivo ed incitare i propri beniamini. Anche la nostra diocesi – ne abbiamo parlato dalle pagine de L’Azione – è stata toccata dal Giro. Ben due tappe hanno attraversato il nostro territorio, facendo apprezzare la bellezza dei nostri paesaggi (come di gran parte dei paesaggi italiani: nonostante tutto, l’Italia resta sempre il “Bel Paese”!) e ricordando figure di ciclisti di grande valore come Ottavio Bottecchia, a San Martino di Colle Umberto, e Denis Zanette a Sacile.

Alla fine, nel ciclismo, la differenza la fanno ancora le persone, con la loro capacità di abnegazione, generosità e intelligenza. Come Alessandro De Marchi, friulano che però ha militato per alcuni anni nella Bibanese (e quindi sentiamo anche un po’ “nostro”): a 34 anni ha vestito per due giorni la maglia rosa, coronando il sogno di una carriera di impegno e di sacrifici.

La differenza, l’hanno fatta persone come il colombiano Egan Bernal che a soli 24 anni può contare nel suo “palmares” due prestigiosi trofei: il Tour vinto nel 2019 e il Giro dominato nel 2021. Alla notizia della vittoria, in Colombia è esplosa la gioia e nella sua diocesi la Cattedrale è stata illuminata di rosa. Mons. Cubillos Peña, il vescovo di Zipaquirá (la città di Bernal), ha commentato l’evento esprimendo l’orgoglio di un’intera nazione: “Siamo orgogliosi per il fatto che Egan durante tutta la sua esistenza, come attesta chi lo conosce da vicino, ha dimostrato di essere una persona davvero speciale, al di là del suo enorme talento a livello sportivo”. Il suo parroco, padre Díaz Tamayo, ne ha ricordato la determinazione e il carattere: “È una persona piena di virtù, doni e qualità, un uomo che è nato in un luogo umile e semplice, nelle colline che circondano la città di Zipaquirá e questa regione. Qui ha appreso ad andare in bicicletta e a percorrere le salite della zona. Ha appreso come arrivare in cima (…) È stato aiutato dal desiderio di superarsi, di migliorare, con decisione e disciplina. Nessuno può arrivare al trionfo senza sacrificio e disciplina. È un uomo semplice, con un grande sorriso generoso, ma anche di poche parole”.

La differenza, l’ha fatta anche un uomo come Damiano Caruso per essersi piazzato secondo nella classifica finale del Giro – lui, un gregario! – e per aver vinto in modo entusiasmante una delle tappe più difficili, quella dell’Alpe Motta. Probabilmente resterà nella memoria (e nel cuore) di molti il gesto che Caruso ha compiuto, prima di partire per andare a vincere la tappa: dopo che il suo compagno, Pello Bilbao, lo aveva “tirato” per chilometri, dando fondo a tutte le sue energie, Caruso gli ha dato una pacca sulla spalla in segno di riconoscenza e di gratitudine ed è andato a prendersi la vittoria. Un gesto tanto semplice quanto bello, quello di Caruso, che testimonia come la nobiltà d’animo sia ancora un valore nel mondo dello sport.

Sono giorni grigi, questi, in cui siamo sconquassati dalla tristezza per le morti in mare, alle quali rischiamo con il tempo di assuefarci, e dalla rabbia per le quattordici vittime della funivia del Mottarone. In questi giorni “cattivi”, in cui si può essere inghiottiti dal più subdolo egoismo, figure umili e laboriose come Bernal, come Caruso, come De Marchi o Pello Bilbao, fanno la differenza. Ci ricordano l’importanza del gioco di squadra, della disciplina, dell’umiltà. Forse è proprio da qui – da questi valori e da persone come queste – che si deve ricominciare per andare oltre il tempo della pandemia.

(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)

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