Onori e oneri

Per le sfide importantissime che ci attendono siamo a chiamati a pensare con il noi e non in prima persona singolare. Il bene superiore di tutti, al posto di quello dei singoli. Comunità anziché individui

(Foto ANSA/SIR)

Costituisce una sorta di parola d’ordine. Dovrebbe diventare una pista condivisa, la strada maestra sulla quale incamminarci. D’altronde l’occasione è unica. Nel nostro Paese, grazie al Pnrr (cfr. pag. 10 edizione cartacea), nei prossimi sei anni arriveranno una valanga di soldi, come mai era accaduto in epoca recente. Come investirli? Come utilizzarli al meglio? Come farli fruttare per pagare gli interessi sulla parte fornitaci a prestito? Come realizzare tutto questo? E, soprattutto, come sarà possibile?

La risposta è stata fornita lunedì scorso dal presidente del Consiglio, Mario Draghi: «anteporre il bene comune». E non si venga a dire che non si sa cosa significhi. Lo sappiamo benissimo tutti. Per le sfide importantissime che ci attendono siamo a chiamati a pensare con il noi e non in prima persona singolare. Il bene superiore di tutti, al posto di quello dei singoli. Comunità anziché individui.

Semplicissimo da scrivere, difficilissimo da realizzare in un Paese come l’Italia che si regge sui campanili.

Verde e digitale, giovani e donne, istruzione e ricerca, infrastrutture e riforme, giustizia e pubblica amministrazione: sono questi i campi su cui dovremo puntare i miliardi, 222, messi a disposizione dall’Ue per il nostro rilancio dopo la tragedia, causata dalla pandemia.

Si tratta di un’occasione unica. Irripetibile, possiamo aggiungere.

Come quella che verificò nel secondo dopoguerra. Siamo un po’ nelle stesse condizioni, di disastro generalizzato. C’è molto da lavorare. Tantissimo. C’è da rimboccarsi le maniche, nessuno escluso. Lo ha ribadito lo stesso Draghi che ha citato De Gasperi: «A noi l’onore e l’onere di preparare nel modo migliore l’Italia di domani». Tocca a noi, non ad altri. A cominciare dall’uscita dalla pandemia che dipende moltissimo dalla campagna vaccinale. Dopo tante diffidenze, la gente ora pare crederci. È un buon inizio. Ci vuole.

Anzi, è necessario. Da qui, da questo punto di ripartenza può rinascere il nostro Paese. Abbiamo stipulato un patto con l’Europa da cui dipende il destino dei prossimi 20, 30 anche 40 anni. Non si può scherzare. Si deve fare sul serio, procedendo tutti nella stessa direzione. Avremo anche visioni diverse, ma l’interesse superiore, quello cui attiene il bene comune, deve prevalere su quelli di bottega.

È il momento di crederci.

(*) direttore del “Corriere Cesenate” (Cesena)

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