“La Repubblica una e indivisibile”

Sempre più spesso si sente dire che questa pandemia potrebbe rappresentare un’opportunità per ripensare ai nostri modelli di vita, ma anche, per mettere mano all’intero sistema organizzativo del Paese. Specialmente alla luce del caos che sta emergendo nella gestione delle misure anti Covid. Confusione non solo sul fronte sanitario, ma soprattutto su quello delle direttive per fronteggiare l’avanzata del virus.

Indispensabili infermieri - fotografie dall’Ospedale di Santa Maria Nuova, l'Ospedale più antico del mondo © Massimo Sestini

Sempre più spesso si sente dire che questa pandemia potrebbe rappresentare un’opportunità per ripensare ai nostri modelli di vita, ma anche, per mettere mano all’intero sistema organizzativo del Paese. Specialmente alla luce del caos che sta emergendo nella gestione delle misure anti Covid. Confusione non solo sul fronte sanitario, ma soprattutto su quello delle direttive per fronteggiare l’avanzata del virus. Il superamento, nei giorni scorsi, della cifra significativa del milione di contagi e gli oltre 600 morti, pongono l’Italia, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), “tra i cinque Paesi con record di nuovi positivi”, facendoci passare dalla classifica dei migliori a quella dei “perdenti”. Gli ospedali, anche quelli più attrezzati, sono al limite del collasso; il personale medico e infermieristico, oltre che insufficiente, è stanco e provato. In Campania, addirittura, si muore mentre si fa la fila al Pronto soccorso. E si parla, anche, di dati sui contagi trasmessi dalle regioni al governo, errati o truccati. Insomma, la malasanità e la disorganizzazione, accentuate dalla pandemia, continuano a monopolizzare l’informazione. Ma perché, ci si chiede, accade tutto questo in un Paese, come il nostro, che può vantare di far parte dei sette Paesi più grandi del mondo? La confusione e i conflitti di competenza fra Stato e regioni, affiorate in questi ultimi giorni, possono essere fatti risalire, soltanto in parte, alla farraginosità delle norme che regolano la divisione dei compiti fra Stato centrale, Regioni e Comuni. Ben che meno, possono giustificare taluni atteggiamenti ritenuti opportunistici, come nel “gioco del cerino”, nel quale ognuno cerca di scaricare sugli altri la responsabilità dei provvedimenti impopolari. Il governo, sulla base dei dati scientifici trasmessi dalle regioni, individua i territori – giallo, arancione o rosso – da sottoporre a restrizioni e delega le regioni a prendere quelle misure, ancora più stringenti, ritenute più idonee in base alla situazione contingente. Le regioni, a loro volta, cercano di scaricare sul governo le loro responsabilità, rimpallandogli le decisioni. Nessuna regione, salvo qualche eccezione, ha avuto il coraggio di inasprire autonomamente le misure prese dal governo. Così che le disposizioni di Palazzo Chigi, più che decisioni, appaiono raccomandazioni confuse e provvisorie. E, intanto, la situazione si aggrava! “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Così recita la Costituzione. E, in effetti, con la istituzione, nel 1970, delle regioni a statuto ordinario e con la successiva riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, si è data piena attuazione alla Carta costituzionale, trasferendo dallo Stato alle regioni la competenza su molte materie, sanità compresa. Un’operazione questa che, purtroppo, non sempre ha dato i risultati sperati. La Sanità, infatti, ha fatto parlare di sé più per gli scandali e il clientelismo che per i livelli di servizio resi ai cittadini. Da qui il motivo dei tagli alla spesa sanitaria decisi, in passato, dai vari esecutivi, con conseguente chiusura di ospedali, riduzione di posti letto e mancata assunzione di personale medico e infermieristico. Ed ecco spiegato, seppur in parte, il motivo della tanta impreparazione del sistema a fronteggiare il Covid. Ma per risanare il bilancio dello Stato, bisognava iniziare proprio dalla sanità? Non c’erano nel settore pubblico – regioni, province, comuni, enti pubblici – altre spese inutili da tagliare per fare economia? E non c’erano gli oltre cento miliardi di tasse evase per fare cassa? La valorizzazione delle regioni e, in genere degli enti locali prevista dalla Costituzione, doveva migliorare l’efficacia amministrativa e consentire una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica. Se, tra i tanti obiettivi, riusciremo almeno a realizzare qualcuno di questi, allora, si, che la pandemia sarà stata un’opportunità!

(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)

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