Quel terremoto elettorale tanto evocato

Il terremoto elettorale tanto evocato dai partiti di opposizione non c’è stato. Anche se i risultati scaturiti dall’Election day, “giorno delle elezioni”, si prestano a una lettura complessa, ci sembra di potere affermare che nei confronti del governo non ci sono stati né il “cappotto”, né la “spallata” pronosticati alla vigilia.

Scrutatori nel seggi elettorale dell' Istituto Panetti Bari procedono allo spoglio delle schede elettorali, Bari 21 settembre 2020. ANSA/DONATO FASANO

Il terremoto elettorale tanto evocato dai partiti di opposizione non c’è stato. Anche se i risultati scaturiti dall’Election day, “giorno delle elezioni”, si prestano a una lettura complessa, ci sembra di potere affermare che nei confronti del governo non ci sono stati né il “cappotto”, né la “spallata” pronosticati alla vigilia. Le urne ci consegnano un risultato che, tutto sommato, può andare bene a tutti. Così come accadeva ai tempi della prima repubblica, quando, il giorno dopo le elezioni, tutti trovavano il motivo per dire di avere vinto , comunque, di non avere perso. Anche la partecipazione degli elettori alle elezioni, attestatasi intorno al 55%, smentisce coloro che prevedevano una diserzione delle urne, anche per paura del Covid. In particolare, per quanto riguarda il referendum, nessuno può dire di essere l’unico vincitore. L’affermazione del “si” al taglio dei parlamentari (quasi il 70%) può essere rivendicato, non solo dai Cinque stelle, ma da tutti i partiti che avevano detto, almeno una volta, un “si” alla riforma costituzionale. Anche se, successivamente, quasi tutte le forze politiche hanno manifestato un ripensamento che ha favorito la buona tenuta del “no” (poco più del 30%). Analogo discorso per le elezioni regionali: le opposizioni, con Salvini in testa, puntavano a conquistare tutte e sette le regioni dove si votava, mentre i partiti di governo si accontentavano di conservare almeno due delle quattro regioni governate. I risultati, anche se non sono coincisi con le aspettative dei contendenti, si può dire che hanno accontentato tutti: sia i partiti di opposizione che hanno confermato due regioni (Veneto e Liguria) e conquistato una terza (Marche); sia i partiti di governo che ne hanno mantenute tre (Toscana, Campania, Puglia), perdendone soltanto una (Marche). Una prova questa che dimostra, tra l’altro, come i cittadini siano più interessati ai risultati riscontrati nel governo della regione, che ai partiti: su 6 governatori, di destra e di sinistra, ne sono stati confermati ben cinque (Veneto, Liguria, Toscana, Campania e Puglia). Una sommaria valutazione, infine, dell’intera competizione-referendum e regionali, consente di dire che, più che un vincitore, ci siano stati due perdenti – Salvini e Cinque stelle – e un miracolato: il PD. Il primo, Salvini, dopo l’Emilia, vede rinviato, ancora una volta, il progetto di imporre un suo candidato; i Cinque Stelle, perché confermano il trend verso l’irrilevanza, a dimostrazione che non si può vivere solo di antipolitica; il PD, perché ha ottenuto la conferma dei tre presidenti, più per la personalità degli stessi che per la sua forza politica. Rimanere a rimorchio dei Cinque Stelle e faticare a darsi una linea politica autonoma, non lo ha certo aiutato a costruire credibilità. Con l’aggravante di avere affrontato le elezioni senza essere riuscito a costituire alleanze con i Cinque stelle. E ora, che cosa succederà? Se, come sembra, lo spauracchio dello scioglimento anticipato delle Camere e il ricorso alle elezioni anticipate può essere accantonato, è possibile sperare che i partiti, tutti, di maggioranza e di opposizione, cambino spartito? Sapranno mantenere la promessa di fare la riforma elettorale e, in più, saranno in grado di migliorare la qualità della classe politica? Sapranno, infine, mettere da parte ogni atteggiamento belligerante per guardare, insieme, al futuro del Paese? Le misure fin qui prese hanno acuito, anziché attenuato il divario tra garantiti e non garantiti e di fatto non hanno arginato le povertà che continuano ad aumentare. Dopo avere superato, senza troppi danni, la prova, tanto attesa, dell’avvio dell’anno scolastico, si volga ora lo sguardo verso gli altri problemi del Paese, cercando di fare tesoro delle irripetibili opportunità finanziarie che l’Europa, dopo tanta resistenza, ci offre. Finalmente si è capito che, in tempo di Covid, nessuno – neppure i più ostili al progetto europeo – può farcela da solo. Si prenda, allora, al volo la disponibilità dell’Europa a finanziare, attraverso il Recovery Fund (Fondi di recupero), un’efficace politica dell’innovazione – digitale, biotech, intelligenza artificiale, robotica e via dicendo- dedicata alla “next generation” (prossima generazione), che costituisce il più ambizioso programma di rilancio dell’Unione europea per gli anni a venire.

(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)

 

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