Se Silvia ora è Aisha

La notizia della liberazione in Africa della volontaria italiana Silvia Romano ha suscitato un’ondata di emozione e di commozione. In un tempo così pieno di paure e di preoccupazioni, una buona notizia fa davvero piacere. Ma subito, insieme all’annuncio della liberazione, ecco la seconda notizia: si è convertita, è diventata musulmana. Naturalmente questo messaggio ha suscitato una serie di reazioni ben più variegate: stupore, perplessità, sgomento...

(Foto ANSA/SIR)

La notizia della liberazione in Africa della volontaria italiana Silvia Romano ha suscitato un’ondata di emozione e di commozione. In un tempo così pieno di paure e di preoccupazioni, una buona notizia fa davvero piacere. Ma subito, insieme all’annuncio della liberazione, ecco la seconda notizia: si è convertita, è diventata musulmana. Naturalmente questo messaggio ha suscitato una serie di reazioni ben più variegate: stupore, perplessità, sgomento…
Non intendo, in questo breve testo, esprimere alcuna valutazione circa la personale vicenda in questione, anche perché al momento mancano tanti dati e informazioni più precise.
Quindi, nel pieno rispetto della vicenda personale di Silvia, diventata ora Aisha, colgo questa occasione come una opportunità per riflettere più in generale sulle conversioni alla religione del Corano e di Maometto. Lo faccio a partire da una prospettiva di fede cristiana, e quindi esplicito subito la domanda per me più importante: come è possibile, come accade che un credente in Cristo abbandoni questa fede e si faccia mussulmano?
Per quanto sia cosa poco nota, è giusto ricordare che, nella lunga storia di relazione-scontro-incontro tra Cristianesimo e Islàm, le conversioni ci sono sempre state, e nella doppia direzione: cristiani divenuti mussulmani e musulmani fatti cristiani. Con un aspetto davvero curioso: nei secoli del Medio Evo erano più gli uomini che cambiavano religione, mentre oggi sono più le donne.
Una prima riflessione, di carattere generale, attiene al fatto che, a mio parere, oggi in Europa non siamo attrezzati per incontrare altre religioni e soprattutto l’Islàm. La presunzione che ci caratterizza ci dispone al pregiudizio: noi siamo i moderni, loro gli incivili; noi siamo il futuro, loro il passato; noi siamo la libertà, loro la costrizione (soprattutto della donna); noi i pacifici, loro i violenti…
Questi luoghi comuni, queste precomprensioni così poco attinenti alla realtà fanno sì che quando poi avvengono reali incontri di persone e di comunità si rimanga completamente sbalorditi e sorpresi da ciò che è inatteso e ben diverso del previsto. Perché l’Islàm è una grande religione, con una profonda spiritualità e con forti caratteristiche morali e sociali (senza per questo nascondere problemi, limiti e difficoltà). Diverse conversioni all’Islàm sono avvenute e avvengono proprio nel contesto di un incontro, umano e spirituale, del tutto inatteso perché impreparato.
La seconda riflessione attiene all’aspetto più propriamente cristiano. Ripeto, ancora una volta, che questo prescinde dal caso specifico, anche perché non sappiamo quanto e come in precedenza Silvia vivesse la sua fede cristiana (alcune indicazioni fanno supporre una appartenenza piuttosto distante). Ma la domanda, in tutta la sua attualità, è questa: cosa dice ai cristiani impegnati questa “uscita”, questo passaggio ad un’altra religione? Siamo richiamati a riflettere sulla condizione generale della fede cristiana in Italia; e cioè sul fatto che per tanti essere cristiani oggi è appena una appartenenza sociale o tradizionale. In molti si è affievolito quel legame interiore e personale, quel rapporto intimo e forte con il Dio di Gesù Cristo, che sostiene la vera fede e orienta la buona vita. Questa situazione, vissuta ora anche nel contesto della limitazione alla vita religiosa per la pandemia, offre ai credenti impegnati una indicazione forte e chiara: solo nel ritorno ad una fede intima, profonda e personale ci sarà una ripresa autentica della comunità cristiana; solo nell’aiuto reciproco a riscoprire il volto di Gesù come centro gioioso e amorevole della esperienza di Dio nella sua pienezza possiamo ripartire e ricominciare.
Infine, una proposta: apriamoci alla conoscenza dell’Islàm, apriamoci ad uno studio più profondo e attento, che ci permetta di conoscerne veramente le dimensioni spirituali e sociali, i punti di possibile incontro, le fragilità e le grandi sfide collegate al rapporto con la modernità. Solo cristiani maturi e consapevoli sapranno affrontare le sfide date dalla modernità e dall’incontro con le grandi religioni del mondo.

 

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