Un sogno

Quando è arrivata in Italia la zanzara tigre, mia madre, vicina ai novant’anni mi face- va domande su questo nuovo insetto di cui tentavo di dare risposte cercando di decodi- ficare il più possibile i termi- ni per renderli semplici. Alla fine con una semplicità di- sarmante affermò: “Io so che pizzica”.

foto SIR/Marco Calvarese

Quando è arrivata in Italia la zanzara tigre, mia madre, vicina ai novant’anni mi face- va domande su questo nuovo insetto di cui tentavo di dare risposte cercando di decodi- ficare il più possibile i termi- ni per renderli semplici. Alla fine con una semplicità di- sarmante affermò: “Io so che pizzica”.
Non ero riuscito a svolgere il compito che mi ero prefissa- to. Ma non ero stato l’unico, nemmeno i programmi tele- visivi c’erano riusciti, almeno così mi disse.
In questi giorni in cui siamo costretti a stare chiusi in casa per il Covid-19, di cui abbia- mo capito poco, mi è ritornato alla mente questo ricordo e il pensiero è corso agli anni della mia infanzia e della mia adolescenza. C’era un altro virus che mieteva vittime e seminava dolorose ferite permanenti: la poliomielite e qualcuno ricordava il flagello della spagnola.
Negli anni ’50 dello scorso se- colo, molte famiglie erano se- gnate dal passaggio della po- liomielite con bambini morti o segnati per sempre da paralisi agli arti inferiori o superiori. Poi arrivò il vaccino a debel- lare il virus della poliomielite che Albert Bruce Sabin, nato Abram Saperstein, medico e virologo polacco naturaliz- zato statunitense, sviluppò e rese fruibile in tutto il mondo, per tutti, senza chiedere alcun diritto.
Anche il sottoscritto nella sua adolescenza assunse il vacci- no contro la poliomielite.
La paura dell’attesa fu la stes- sa di quando ci avevano fatto il tatuaggio del vaccino contro il vaiolo o l’esame schermo- grafico per la TBC, ma l’as- sunzione del vaccino Sabin fu veramente semplice. Addirit- tura c’era chi poneva queste poche gocce del vaccino su uno zuccherino sulla lingua. Qualcuno ricordava la “feb- bre spagnola” che nel 1918 aveva fatto 21.600.00 vittime (superiore a quello dei mor- ti militari e civili della prima guerra mondiale 16 milioni). Quasi non c’era famiglia che non avesse avuto un parente diretto o collaterale morto per la spagnola.
Prima di perdermi dietro alla poliomielite, al vaiolo e alla spagnola scrivevo poco sopra che in questa condizione di ri- stretto da Covid-19, ho pensa- to agli anni della mia infanzia, gli anni ’50 dello scorso secolo e a quale avrebbe potuto esse- re il risultato di una infezione da coronavirus.
La radio non era molto diffusa e, comunque, avrebbe potuto rappresentare l’unico mezzo per diffondere le notizie.
Gli ospedali erano tanti e pic- coli e soprattutto non attrez- zati a combattere una infezio- ne sconosciuta.
Le scuole potevano essere chiuse, ma certamente non ci sarebbe stata nessuna alterna- tiva didattica. Molto proba- bilmente le notizie delle varie chiusure sarebbero arrivate e passate “di bocca in bocca” con il rischio del cambio delle parole.
I fedeli si sarebbero riuniti in casa attorno al rosario, ma non avrebbero avuto il soste- gno e l’aiuto quotidiano delle varie TV che sono sorte con il passare del tempo.
Con le belle giornate si pote- va andare fuori, nel proprio campo, per chi viveva in cam- pagna, come lo è oggi, ma per chi viveva in Città sarebbe stata difficile la convivenza in casa, di tutta la famiglia. Niente Tablet, niente compu- ter, niente Sky, Netflix, Disney +. Ognuno chiuso dentro la propria casa e CHIUSO è il termine giusto.
Peppe negli anni ’50 non avrebbe fatto nessuna video chiamata con la maestra e nessuno avrebbe corretto i suoi compiti, anche a casa sa- rebbe stato difficile avere un po’ di sostegno e stimoli per l’educazione.
Thomas nel 2020 è riuscito a recuperare mesi di chiusura grazie alla didattica a distan- za, con video lezioni o con la correzione dei compiti.
A casa spesso ha qualcuno con cui confrontarsi e a cui chie- dere aiuto, molti canali della Televisione sono destinati alla scuola, come Rai Scuola 146. Non solo la scuola è diversa, ma anche la Salute e la medi- cina. È stato istituito un nu- mero verde per chiedere in- formazioni e un numero solo per il Coronavirus.
I medici son molto vicini, i medici di base sempre repe- ribili. La protezione civile dà informazioni giornaliere e si occupa di aiutare la popola- zione.
Spesso diciamo che la tecnolo- gia ci isola, in questo momen- to vedere i lati negativi della tecnologia e del progresso è veramente difficile, anzi, per la spagnola la creazione di un vaccino ha necessitato di 20 anni, ora si parla di meno di un anno.
Questo progresso salva per- sone umane, unico vero limite del progresso tecnologico? Ha dato la parola a tutti, e tutti possono rispondere e criticare su scelte politiche, religiose, di salute, scolastiche, pur non avendo nessuna competenza al riguardo.
A pensarci bene questo non è un limite della tecnologia, ma è un limite umano.

(*) direttore “Presenza” (Ancona)

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