“Lucro cessante, danno emergente”

Tra le tante immagini di questo periodo – ospedali intasati, medici e infermieri con tute spaziali, pazienti intubati, gente con le mascherine - quelle che difficilmente potremo dimenticare sono le città deserte, la lunga fila di negozi chiusi e Piazza S.Pietro vuota con il Papa che avanza con fatica per prostrarsi ai piedi del Crocifisso miracoloso. A proposito di negozi chiusi, ci siamo chiesti quale realtà nasconde la porta sbarrata di una attività commerciale?

foto SIR/Marco Calvarese

Tra le tante immagini di questo periodo – ospedali intasati, medici e infermieri con tute spaziali, pazienti intubati, gente con le mascherine – quelle che difficilmente potremo dimenticare sono le città deserte, la lunga fila di negozi chiusi e Piazza S.Pietro vuota con il Papa che avanza con fatica per prostrarsi ai piedi del Crocifisso miracoloso. A proposito di negozi chiusi, ci siamo chiesti quale realtà nasconde la porta sbarrata di una attività commerciale? Sicuramente lo sanno i titolari dei negozi stessi che, da oltre un mese, non possono vendere la loro merce e, nello stesso tempo, debbono sostenere la famiglia, pagare l’affitto, le bollette delle utenze e fare fronte ai debiti contratti per mandare avanti l’azienda: “lucro cessante, danno emergente”.Non solo vedono cessare gli incassi giornalieri (lucro cessante) , ma vedono precipitare la loro situazione economica (danno emergente).Lo stesso discorso vale per tutte le altre attività: cantieri edili, officine, piccole industrie, bar, ristoranti, etc. Per non parlare dei tanti venditori ambulanti, la maggior parte dei quali privi di qualsiasi copertura previdenziale, che in questo periodo non possono girare per la città per vendere le poche cose che portano nei loro poveri mezzi. Moltiplichiamo la situazione della nostra città per gli ottomila comuni d’Italia e troveremo un risultato veramente preoccupante. Chi e come dovrà sostenere tutte queste attività in sofferenza? È il dibattito che si sta svolgendo in questi giorni. La risposta non può che essere una e una sola: lo Stato. È lo Stato, cioè tutta la comunità nazionale che, attivando lo spirito di solidarietà che la muove, deve dare una risposta adeguata a chi è in difficoltà per ragioni che travalicano la sua volontà. Ma se lo Stato è già indebitato, dove trovare le ulteriori risorse per intervenire? Anche qui, la risposta è univoca: prendere altri soldi in prestito. E quali garanzie lo Stato offre a chi è disposto a prestargli altri soldi? La migliore garanzia dovrebbe venire non dal singolo Stato, ma da più Stati che si trovano nella stessa condizione. Così la solidarietà del singolo Stato si amplia e si estende a una Unione di Stati. In questo modo i creditori si sentono più sicuri e abbassano le loro pretese (prestano a condizioni meno gravose). Ecco cosa si chiede oggi all’Unione Europea: farsi garante dei debiti contratti dai singoli Stati per fare fronte alle tante situazioni di crisi economica scatenate da questa calamità. Il nome dello strumento – eurobond, corona bond, o altro- è ininfluente, quello che conta è una chiara assunzione di responsabilità in nome dello spirito solidaristico su cui i Padri fondatori pensarono l’Europa Unita.Saranno capaci quegli Stati europei, sovranisti ed egoisti, a superare la loro resistenza a condividere le responsabilità per quei titoli emessi dalla Banca Centrale per affrontare le conseguenze economiche provocate da questa grave pandemia? È su questo aspetto che si gioca il futuro dell’Europa!

(*) direttore “La Vita diocesana” (Noto)

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