La Messa a porte chiuse

La messa a porte chiuse è un controsenso, perché è la comunità che celebra l’eucarestia presieduta dal presbitero. Sempre la celebrazione dell’eucarestia è di fronte a tutta la Chie- sa universale e in comunione con tutti i vescovi e presbiteri. È il memoriale della morte e risurrezione di Gesù, sacramento di comunione, unità e carità. Se però la chiesa è vuota, qualcosa manca. Domenica ho celebrato la messa festiva parrocchiale da solo. Una festa celebrata da solo. Che festa è senza i fratelli?

La messa a porte chiuse è un controsenso, perché è la comunità che celebra l’eucarestia presieduta dal presbitero. Sempre la celebrazione dell’eucarestia è di fronte a tutta la Chie- sa universale e in comunione con tutti i vescovi e presbiteri. È il memoriale della morte e risurrezione di Gesù, sacramento di comunione, unità e carità. Se però la chiesa è vuota, qualcosa manca. Domenica ho celebrato la messa festiva parrocchiale da solo. Una festa celebrata da solo. Che festa è senza i fratelli? Per conso- larmi ho tenuto le porte aperte, quasi a superare le distanze dalle case. Mentre celebravo ricorda- vo le abituali disposizioni delle persone, e via via mi mettevo in comunione con loro. Per ovviare alla loro assenza, in una chat a
cui sono collegati in molti, alla ne ho mandato loro un messaggio, nel quale ricordavo il Vangelo del giorno. Poi però, come sempre avviene nei giorni di pioggia inten- sa o di nebbia tta, quando si deve smettere di correre, quando ciò che ci è esterno viene meno, ciò che abbiamo dentro prende il sopravvento. Così, mentre celebravo ed ero vicino ai miei parrocchiani, pensavo a quando due anni fa ho detto al Papa che lo salutavano. Pensavo alle persone che non sono in piena salute e alle loro fami- glie. Poi, ancora di più, ricordavo i pensieri alla ricerca dell’eremo in città, nel mio appartamento, con la dif coltà a trovare il silenzio nel quale tutto dentro di noi si mette

in ordine. Ora, lì da solo nell’incipiente primavera, con le porte aperte, quel silenzio mi veniva incontro, reso solenne dal canto degli uccellini; lontano dal silenzio, ora irrea-
le, della città in quarantena. Il tempo della celebrazione scivolava via troppo velocemente, senza omelia. Nessuno l’avrebbe ascoltata. Poi mi sono accorto quanto mancava a me quell’omelia. La ri essione sulla parola di Dio le altre domeniche mi illudevo io di trasmetterla a loro, mentre in quel momento vedevo che erano loro, in comunione con me, che la facevano nascere. Quando ho celebrato il mio giubileo sacerdotale li ho ringraziati, sinceramente, perché avevano condiviso la fede con me per tanti anni, perché la loro fede aveva consolidato la mia. Di nuovo avevo prova che davvero era così: la loro fede illumina la parola anche per me, mentre io stesso la sto commentando loro. Quella domenica non potevo leggere nei loro volti l’empatia. O forse sì, per il ritrovato gusto del silenzio e della parola “sine glossa” che chiedeva una pausa, un ulteriore tempo che dovevo a loro, fedeli di una parrocchia, di una messa sparsa nel territorio.

 

(*) direttore “Il Momento” (Forlì)

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