Peggio del coronavirus

Per un giorno siamo stati “i primi al mondo”. Poi “i primi in Europa”, in seguito, “tra i primi in Europa”… La storia di come è stata raccontata la (comunque) straordinaria impresa di tre ricercatrici dello “Spallanzani” di Roma, che in due giorni hanno isolato il Coronavirus, è immagine del pressapochismo di come si fa informazione oggi.

(200206) -- BEIJING, Feb. 6, 2020 (Xinhua) -- Staff check passengers' body temperatures at the entrance of Beijing South Railway Station in Beijing, capital of China, Feb. 6, 2020. The station has intensified preventive measures to curb the novel coronavirus epidemic. (Xinhua/Ren Chao)

Per un giorno siamo stati “i primi al mondo”. Poi “i primi in Europa”, in seguito, “tra i primi in Europa”… La storia di come è stata raccontata la (comunque) straordinaria impresa di tre ricercatrici dello “Spallanzani” di Roma, che in due giorni hanno isolato il Coronavirus, è immagine del pressapochismo di come si fa informazione oggi. “Dagli italiani una lezione al mondo” scrive “Libero”, riecheggiando slogan di altro genere. “Scoperta decisiva. L’antivirus italiano” enfatizza “il Giornale”. “Aver isolato il virus è segno di una grande, enorme capacità professionale e scientifica – ha detto a Zapping il prof. Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Superiore della Sanità – ma ogni sovradimensionamento è fuori luogo. Siamo solo all’inizio, e per stare in prima linea con i grandi centri di ricerca servono fondi, mezzi, investimenti, cosa che in Italia, di taglio in taglio, di finanziaria in finanziaria, non abbiamo più da anni. Così accade che i nostri ricercatori, che vivono con contratti annuali di poco più di 1500 euro, se ne vanno all’estero, dove le loro competenze sono giustamente riconosciute. Questo bisogna dire”. Ma le epidemie si stanno moltiplicando. Lo certifica l’Organizzazione Mondiale della sanità, sì proprio quella che si preoccupa della salute dell’umanità. C’è una sindrome che condiziona la nostra mente, la nostra capacità di comprensione e di elaborazione delle informazioni che riceviamo. È stata chiamata Infodemia, ancor più “rischiosa per la salute pubblica” del Coronavirus. È un vero e proprio neologismo, una parola creata per descrivere un nuovo fenomeno insorgente, pericoloso e già, in gran parte, diffuso. Indica quell’“abbondanza di informazioni, alcune accurate, altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili, quando ne hanno bisogno”. Una pioggia di notizie, cui siamo soggetti ogni giorno, in cui si incrociano e confondono verità e falsità, ipotesi, assiomi, dicerie e teoremi. Il Coronavirus appare così decisivo nello smascherare la situazione che viviamo e la cultura (o non cultura) in cui siamo immersi. Ma è un gioco pericoloso, terreno di coltura di ogni intolleranza e razzismo nei confronti di cittadini cinesi, accusati di essere gli “untori”, la “Colonna infame” di manzoniana memoria. E così a Cuneo fanno scendere una studentessa dall’autobus, la gente evita i ristoranti cinesi e gli stessi governatori leghisti del Nord amplificano le paure dei genitori per la presenza di bambini cinesi a scuola. La Infodemia è già grave e diffusa.

(*) direttore “Il Ponte” (Rimini)

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