Bentornato don Massimo!
Anzitutto… come sta? È stato effettivamente il viaggio più faticoso che ha affrontato negli anni dell’episcopato?
No, forse dal punto di vista fisico può essere paragonato al viaggio che ho compiuto in Brasile. Dal punto di vista morale, è stato per me un viaggio pieno di luce.
Luce?
La luce delle nostre Case della carità, delle sorelle e fratelli che le abitano, e la luce di madre Teresa e della sua “Casa dei morenti”. L’India è un continente immenso, dove si parlano tante lingue, popolato da tante etnie differenti, dilacerato fra immense ricchezze ostentate e immensa miseria materiale. Ma è anche e soprattutto un forziere spirituale, un tesoro ricchissimo di grida a Dio, di domande, a cui le diverse religioni hanno cercato di dare delle risposte. È dunque un popolo profondamente religioso, ma nello stesso tempo è un popolo che, nella sua grande maggioranza, non conosce Cristo. Da qui l’urgenza della presenza dei cristiani che abitano quella terra da duemila anni e di una testimonianza della fede che, senza proselitismo, possa far conoscere l’infinita misericordia di Dio per l’uomo, di quel Dio che ha voluto farsi carne per essere accanto ad ognuno di noi, per sollevarci dall’inferno in cui viviamo e aprire la nostra vita alla luce.