Attaccato il cuore dell’Europa

Le agenzie raccontano di missili su Kharkiv, Mariupol, sulla torre della Tv, di colonne di mezzi blindati russi verso Kiev, di morti e feriti anche tra i soldati russi, di civili che continuano ad organizzare la resistenza con barricate in strada, di migliaia di persone che fuggono.

(Foto ANSA/SIR)

Le agenzie raccontano di missili su Kharkiv, Mariupol, sulla torre della Tv, di colonne di mezzi blindati russi verso Kiev, di morti e feriti anche tra i soldati russi, di civili che continuano ad organizzare la resistenza con barricate in strada, di migliaia di persone che fuggono.
Quello che è stato realizzato nella notte tra il 23 e il 24 febbraio è un gravissimo e inaccettabile atto di aggressione della Russia di Putin contro l’Ucraina che non è destinato a rientrare a breve, ma a segnare la storia contemporanea e a cambiare gli equilibri geopolitici usciti dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica del 1991.
Il 23 febbraio la stragrande maggioranza di noi era ancora alle prese con la pandemia e con le prospettive di un progressivo allentamento delle misure anticovid. Pochi immaginavamo che peggio di una pandemia potesse esserci la guerra scatenata sulla porta di casa, nel cuore dell’Europa. La guerra come scenario possibile e vicino non faceva parte dell’immaginario degli europei cresciuti in un contesto stabile di pace e con l’illusione che la guerra fosse bandita dall’Europa.
E invece il quasi settantenne Vladimir Putin che nel suo delirio di onnipotenza si è fatto Zar, allungando all’infinito la sua possibilità di rimanere al potere, ci ha sbattuto in faccia, in un attimo tutte le contraddizioni, gli interessi non detti, i limiti e gli errori che l’Europa ha inanellato in questi anni.
Diciamolo, i segnali di chi era Putin c’erano tutti. Eppure in tanti, troppi, pensavano di poter gestire il presidente russo a proprio uso e consumo, instaurando con lui, senza troppi scrupoli, rapporti quanto meno opachi. Ora Vladimir Putin ha deciso di alzare la posta arrivando a minacciare addirittura l’uso delle armi atomiche. In questo quadro, tra le sorprese amare e dolorose c’è la frattura tra la Chiesa ortodossa russa e ucraina che come credenti ci interroga in modo drammatico.
In questi giorni sono state molte le piazze e le chiese che si sono riempite per un comune anelito alla pace, un’invocazione al contempo laica e credente perché tacciano le armi. Su tale versante l’invito coraggioso e insistente di papa Francesco va accolto, rilanciato, abitato come affidamento alla forza della preghiera.
Ma la guerra scatenata dal leader russo ha provocato quello che forse lui non aveva messo in conto: il ricompattamento dell’Occidente e in particolare dell’Unione Europea che in ritardo storico nel darsi una politica di difesa e una politica estera comuni, sta fino ad ora riuscendo a esprimersi con una voce univoca e forte, adottando sanzioni pesantissime, assolutamente non scontate.
L’Italia dunque, insieme all’Europa, come ha detto il premier Draghi “non si volta dall’altra parte” e ha deciso, con i partner europei, l’invio di armi in aiuto dell’Ucraina. È una scelta assolutamente inedita, che colpisce e interroga. L’Italia che ripudia la guerra, manda armi per combattere. È una decisione pesante, che non si prende a cuor leggero. Siamo però anche consapevoli che occorre fermare in modo deciso chi con pericolosissima protervia vuol fare a brandelli l’ordine internazionale, calpestare i diritti fondamentali dei popoli, imporre un sistema inaccettabile di oppressione. In gioco c’è il modello delle nostre democrazie come le abbiamo conosciute. Non sappiamo come potrà riprendere il dialogo una volta superata, speriamo, questa crisi. È intanto fondamentale coinvolgere in questo processo la Cina. Occorre poi il coraggio di immaginare rapporti rigenerati, fondati su parole nuove che ricostruiscano una fiducia che l’aggressione di Putin a mandato in pezzi. E questo sarà il lavoro più difficile, un lavoro per il quale occorre chiedere anche l’aiuto dell’Onu.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)

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