L’Europa vista dall’est: aiuti economici, regole da rispettare e orizzonti democratici

La sessione plenaria dell'Europarlamento ha accolto il premier estone Ratas, la presidente del Consiglio romena Dancila e il presidente montenegrino Djukanovic. Tre sguardi - differenti tra loro - sul presente e il futuro dell'Unione. Dal Baltico al Balcani, nell'era dell'euroscetticismo

Strasburgo: Juri Ratas, premier dell'Estonia, si rivolge ai deputati europei. Nelle altre foto la premier romena Viorica Dancila e il presidente del Montenegro Milo Djukanovic con Antonio Tajani

(Strasburgo) L’Europa vista dall’est. Quella che ha subito mezzo secolo di comunismo, quella che ha raggiunto a caro prezzo la piena libertà dopo la caduta dell’Urss e della Yugoslavia, quella che sta facendo ancora adesso i conti col passato e che, talvolta, fatica a guardare avanti. Che riconosce il valore aggiunto (e gli aiuti economici) dell’adesione all’Ue, che teme l’ingombrante vicino russo, o che si misura con una prolungata instabilità regionale, come accade nel Balcani. La plenaria dell’Europarlamento sta offrendo, a Strasburgo, una carrellata di faccia a faccia sintomatici: con il primo ministro estone Ratas, con la premier romena Dancila, con il presidente della Repubblica montenegrina Djukanovic.

“Non mi piacciono le frontiere”. Il premier estone Jüri Ratas ha discusso con i deputati sul futuro dell’Europa. È il decimo capo di Stato o di governo che interviene in emiciclo su questo tema: al centro dell’attenzione gli aggiustamenti di rotta dell’Unione per rimanere al passo coi tempi, per svolgere il suo ruolo a servizio dei cittadini europei, evitando i siluri del populismo e i ritorni di fiamma dei vari nazionalismi che hanno per bersaglio proprio la costruzione europea. Ratas ha svolto un intervento dai forti accenti europeisti. Per chi ha subito il dirigismo economico e politico, l’Europa “rappresenta la libertà, la democrazia, il diritto”. Si dice d’accordo con il cantante Bono: “l’Europa è un pensiero che deve diventare un sentimento”, è “il nostro destino”. Per questo, afferma convinto, occorre “combattere il populismo e rafforzare il sentimento europeo”. Aggiunge: “A me non piacciono le frontiere in Europa, quelle che ancora esistono negli Stati membri, quelle reintrodotte per la crisi migratoria e quelle che potrebbero ancora essere erette”. “L’Europa è piccola nel mondo e ciascuno Stato membro non saprebbe affrontare da solo i grandi problemi che abbiamo di fronte”. Da qui l’appello all’unità, alla responsabilità nel rispettare i trattati, alla solidarietà verso quei Paesi più esposti all’immigrazione. Ratas parla di difesa (la Russia è avvertita come una minaccia nelle regioni baltiche), di completamento del mercato unico, di moneta unica, di economia digitale. “Il modo migliore per prevedere il futuro – cita – è di crearlo”. In Europa va creato “insieme”. Cita più volte Macron e Juncker, poi sottolinea la necessità di un piano europeo per lo sviluppo dell’Africa perché, afferma tornando alle migrazioni, “misure a breve termine portano solo soluzioni a breve termine”.

La situazione in Romania. Di ben altra portata il discorso rivolto in aula dal primo ministro della Romania, Viorica Dancila. Il Parlamento e la Commissione Ue si stanno interrogando sul rispetto delle regole democratiche, dello stato di diritto e delle libertà fondamentali nel Paese, così come di recente è accaduto per Ungheria e Polonia, e una risoluzione sarà messa ai voti nella sessione di novembre. In piazza a Bucarest si sono più volte riversati manifestanti per protestare contro la riforma del sistema giudiziario e le modifiche alle regole sui conflitti di interesse. La Corte costituzionale romena sta esaminando altre modifiche al codice penale e al codice di procedura penale che il governo vorrebbe introdurre. La premier Viorica Dancila ha affermato che il suo Paese “crede nella indipendenza della magistratura” e “attueremo le raccomandazioni della commissione di Venezia”. Quindi ha difeso l’operato della polizia che aveva usato le maniere forti, questa estate, contro i dimostranti a suo dire “violenti”. “La settimana scorsa ci sono stati eventi simili a Bruxelles e in Germania; sono state adottate misure secondo le procedure seguite anche in Romania. Non potete vietare alla Romania quello che autorizzate in altri Paesi europei”. Il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, ha dapprima richiamato l’urgenza della lotta alla corruzione e poi ha sottolineato rivolgendosi alla premier: “Seguiamo con preoccupazione i recenti sviluppi in Romania sulle riforme giudiziarie e il loro impatto sulla separazione dei poteri”.

“Siamo partner, non cavie”. Il capo di Stato montenegrino è stato accolto dal presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani con un saluto caloroso: “Il Montenegro fa parte dell’Europa, non solo geograficamente ma anche perché condividiamo insieme un’eredità culturale e i valori che hanno forgiato questa identità europea”. Tajani si è persino sbilanciato nel suggerire una possibile data dell’adesione di Podgorica all’Unione: il 2025. Dal canto suo Milo Djukanovic ha tenuto un discorso dai forti accenti identitari, ribadendo più volte che l’orizzonte europeo è irrinunciabile per il suo Paese e per tutti i Balcani occidentali. Non ha trascurato di sottolineare i problemi che attraversano la regione: le tensioni, ad esempio, tra Serbia e Kosovo, quelle tra Macedonia e Grecia, l’esplosiva realtà della Bosnia-Erzegovina… E poi le democrazie fragili, le economie ancora arretrate nonostante i notevoli passi avanti di questi anni (“gli stipendi e le pensioni restano ben lontane dagli standard europei”), i timori verso l’esterno, con ingombranti vicini (riferimento indiretto a Turchia e Russia). Per questo “se non ce la faremo, e se l’Ue dovesse perdere ancora un’occasione per integrare i Balcani occidentali, perderemo tutti”. “Nei Balcani si sentono messaggi dissonanti dal resto dell’Ue sul ritmo dell’allargamento. Io non sono euroscettico, da molto tempo siamo su una strada irreversibile verso l’Unione e l’idea di un’Europa unita è il nostro cardine, ma in questo processo siamo tutti partner e non cavie”. L’oratore ha poi confermato la volontà di accogliere migranti giunti in Italia: “Stiamo discutendo con le autorità italiane sull’esatto numero”, ma “siamo pronti ad accettare un certo numero di rifugiati in linea con la capacità delle nostre strutture”. Una mano tesa, forse non disinteressata, ma pur sempre una mano tesa.

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