
In politica, si sa, occorrono idee, programmi, leader, ma anche capacità di mediazione, persino “tatto” e arte diplomatica. A maggior ragione quando si sta sulla scena internazionale. Il primo banco di prova del nuovo governo italiano è la riunione dei ministri degli Interni che si svolge oggi a Lussemburgo: in agenda la riforma dell’accordo di Dublino – siglato nella sua parte sostanziale nel 2003, premier Berlusconi, con la Lega al governo –, il quale assegna la responsabilità dei migranti al Paese di primo arrivo. Il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato che non sarà presente alla riunione perché impegnato a Roma a seguire la fiducia al Senato; per questo invierà una delegazione che, sempre secondo il ministro, dovrà opporsi alla proposta di riforma della presidenza di turno bulgara.
Si tratta di un passaggio essenziale in vista del Consiglio europeo di fine giugno a Bruxelles dove, oltre alla riforma di Dublino e del sistema d’asilo (e quindi tutto il pacchetto-migrazioni), ci saranno sul tavolo dei capi di Stato e di governo argomenti di primo piano, come il bilancio pluriennale 2021-2027 (con la relativa ripartizione dei fondi Ue), sicurezza e difesa, politica estera, innovazione digitale. Il summit Ue sarà la prima uscita del premier Giuseppe Conte nell’arena comunitaria, dopo l’esordio internazionale al G7 in Canada dell’8 e 9 giugno.
Sia la scena mondiale che quella europea soffrono in questa lunga fase le ricadute della crisi economica, la minaccia terroristica, l’instabilità mediorientale (Siria, ma non solo), l’involuzione di alcuni attori globali (Russia, Turchia), la crescente pressione migratoria che interessa tutta l’area Asia-Africa-Europa, le spiazzanti decisioni del presidente Usa su più fronti, dai dazi alla politica estera (Iran, Corea, Terra Santa, rapporti con Mosca…). Su un terreno tanto magmatico è costretto a muoversi l’esecutivo che nasce a Roma con la convergenza di Lega e Movimento Cinque Stelle. Il quale sta misurando oltre confine, impossibile non notarlo, vari atteggiamenti sospettosi o prevenuti sia dalla politica che dai mass media. Sono soprattutto i giornali che contano negli Usa, in Germania, nel Regno Unito ad avere nel mirino l’Italia, definita populista e sovranista; non sono poi mancati giudizi taglienti (talora ritrattati o persino distorti dai media stessi) verso il governo gialloverde, ritenuto poco affidabile per il futuro dell’Ue.
Alla vigilia del Consiglio dei ministri degli Interni in Lussemburgo, l’autorevole commissario francese Pierre Moscovici, con l’importante delega agli affari economici, si è finalmente sentito in dovere di esprimere un pensiero rassicurante, ribadendo che l’Ue rispetta le regole democratiche di ciascun Paese e che i rapporti con l’Italia saranno “misurati nei fatti”. E così dev’essere. Nei giorni scorsi il presidente della Commissione Ue Juncker, e più ancora il commissario tedesco Oettinger, avevano dato l’impressione di “intromettersi” nella politica italiana (fornendo così buone ragioni alle diverse e diffuse espressioni dell’antieuropeismo e alle pulsioni populiste di marca italiana). Il che non deve assolutamente accadere, salvo – è bene ricordarlo – quando non ci siano di mezzo anche gli interessi comunitari, il rispetto di trattati, delle regole sottoscritte insieme, di impegni assunti e controfirmati. Ciò vale, tra l’altro, per il doppio e delicato versante dell’Unione economica e monetaria (stabilità dell’euro, riduzione del debito, regola del deficit) e dell’accoglienza dei rifugiati.
In questo senso se le dichiarazioni provenienti da Bruxelles non devono dare nemmeno la minima impressione di invadere il campo della politica tricolore, al contempo le prese di posizione che giungono dall’Urbe devono essere misurate. Quando il ministro Luigi Di Maio, parlando di una serie di riforme da introdurre in Italia, afferma che “i soldi necessari andrà a prenderli ai tavoli europei”, non può che generare qualche irrigidimento e dubbio in giro per il continente, anche perché ciascun governo batte cassa a Bruxelles (salvo poi puntare i piedi quando si deve decidere l’entità del budget comunitario, che tutti gli Stati vorrebbe contenere, se non ridurre).
Il dialogo Italia-Ue prosegue dunque entro il quadro della sovranità nazionale da una parte, e degli impegni e regole da rispettare in quanto membri dell’Unione europea dall’altra. Per una convergenza che miri al bene dell’Italia e al rafforzamento dell’Unione europea, “casa comune” utile e irrinunciabile nell’era globale.