Un silenzio di 60 anni

INTERVISTE

Si dice “perplessa” la scrittrice, di origini armene, Antonia Arslan, già docente di letteratura italiana all’Università di Padova, sulla decisione approvata di recente, con 106 voti a favore e 19 contrari, dall’Assemblea nazionale francese di perseguire per legge chi nega il genocidio armeno. La norma dichiara punibile, con un anno di prigione e 45mila euro di multa, chi nega che tra il 1915 e il 1923 il governo turco Ottomano perseguitò la minoranza armena e sterminò un milione e mezzo di persone. L’approvazione della legge è arrivata, nonostante le pressioni e le proteste del governo turco. Ankara respinge, infatti, l’accusa di genocidio poiché sostiene che gli armeni furono vittime della guerra civile scatenatasi dopo la disgregazione dell’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale. In un comunicato il ministero degli Esteri turco ha dichiarato che la legge provoca “un danno grave” alle relazioni tra i due Paesi. Sulla tragedia armena ne abbiamo parlato con Antonia Arslan, autrice del libro “La masseria delle allodole”.

Le notizie che giungono dalla Francia hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la tragedia degli armeni, un pezzo di storia di cui poco si parla. Cosa pensa della decisione del Parlamento francese?

“Sono perplessa. Per gli armeni c’è stato un lungo e colpevole silenzio in cui qualsiasi accenno al genocidio era tabù, come ancora oggi è in Turchia. Tuttavia, capisco bene che in un Paese, come la Francia, dove vive una forte minoranza armena (circa 500mila, la più vasta in Europa, ndr) e dove c’è già una legge che punisce i negazionisti della Shoà si cerchi di estenderla anche al genocidio armeno, il primo del XX secolo”.

Che cosa serve per avviare un processo di revisione storica della tragedia che colpì il popolo armeno?

“Innanzitutto è necessario che il governo turco accetti di parlare di questa pagina nera della sua storia. La strada è ancora lunga. Oggi nelle scuole turche non si può parlare di armeni. Molti intellettuali turchi, non celebri come il nuovo Nobel per la letteratura Orhan Pamuk (incriminato nel 2005 per alcune dichiarazioni rese a una rivista svizzera sul genocidio degli armeni, ndr ) sono ancora sotto processo, rei solo di aver affrontato questo tema scottante”.

Quali sono le ragioni di questo silenzio?

“Bisogna ricordare che nel 1915 quando avvennero questi fatti tutti ne parlarono. Ci sono raccolte di giornali dell’epoca piene di articoli. Benedetto XV si adoperò molto tramite il nunzio apostolico, mons. Angelo Dolci che cercò in tutti i modi di aiutare gli armeni parlando anche con il Sultano. Dopo la guerra, le potenze vincitrici, Francia, Inghilterra e Italia volevano impadronirsi dei resti dell’impero Ottomano, non ci riuscirono per il talento del generale Mustafa Kemal, poi noto come Ataturk, che riprese in mano tutta l’Anatolia. E quando le potenze si accorsero che non potevano più smembrare l’impero fecero a gara per ottenere la benevolenza dei nuovi leader turchi. Nel frattempo Kemal scacciò anche i greci, la terza grande minoranza del Paese, anch’essa cristiana come gli armeni e gli assiri. Per raggiungere questo scopo non esitarono a gettare una cappa di silenzio sulla tragedia armena. Il Trattato di Losanna del 1923 è un monumento di ipocrisia, dove la parola armeni non compare per nulla”.

Ma qualcosa si sta muovendo…

“Solo oggi se ne comincia a parlare grazie all’azione degli armeni di terza generazione che stanno riscoprendo tracce e testimonianze dell’epoca. Di fronte al negazionismo i superstiti non avevano nemmeno il coraggio di parlare, erano dispersi, e i loro figli e nipoti, nati e cresciuti in diaspora hanno cominciato a interrogarsi. Negli ultimi 30 anni il loro impegno ha portato alla pubblicazione di fonti e di testimonianze storiche dirette. Oggi siamo di fronte a una nuova consapevolezza: i due genocidi quello armeno e quello degli ebrei sono legati e molti amici ebrei lo condividono”.

Quanto potrà pesare la questione armena sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea?

“Trovo giusta la richiesta dell’Europa, reiterata per ben sei volte, di una forma di riconoscimento del genocidio da parte della Turchia se questa nazione aspira a far parte dell’Unione europea”.

(25 ottobre 2006)

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