Domenica 20 dicembre – IV di Avvento

In Maria risplende l’esperienza dell’Altissimo coniugata con la conoscenza della Torah, la gioia nelle parole dell’angelo precede l’annuncio ed esplode nel Magnificat.

Luca colloca esattamente i luoghi e le persone nelle due annunciazioni, l’una a Zaccaria nel Tempio, centro del culto ebraico, l’altra a Maria a Nazareth, villaggio limitrofo ai margini della Palestina.

I due racconti vengono ad intrecciarsi, palesando uguaglianze e differenze.

Il messaggero è sempre Gabriele, il cui nome significa “El è l’eroe, il forte”. È portatore di un annuncio gravido di gioia e riceve una risposta, ‘Eccomi’, che apre tutta la storia.

In Maria risuonava la voce dei profeti: Gioele: “Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore… (2,21-23); in Sofonia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna” (3,14); in Zaccaria: “Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te, oracolo del Signore” (2,14).

È quindi un invito alla gioia messianica, a riconoscere l’‘umanamente impossibile’.

Rallegrati: è un imperativo esortativo, Xaire, prova gioia, sii felice. Luca non si serve in questo contesto del consueto: Shalom! È un saluto “profetico” che annuncia il mistero del progetto di Dio, come era stato fatto con Mosè (Es 3,12), Geremia (Ger 1,8), Gedeone (Jz 6,12), Ruth (2,4), tutti scelti per il servizio al popolo.

Il dono si esprime con Kecharitomene, piena di grazia, il participio che sostituisce il nome nella sua forma passiva significa l’amore gratuito di Dio.

Per la prassi matrimoniale ebraica Maria era già sposata a Giuseppe, in quella prima fase che prevedeva un tempo di vita separata. L’alleanza si rinnova non nella sua aspettativa ma nel servizio, al cui centro sta l’agire di Dio che vuole chiedere la collaborazione della persona al suo progetto.

La parola originale greca diatarasso, tradotta con “rimase turbata”, è usata solo in Luca ed è, di per sé, molto forte e indica un vero turbamento, uno sconvolgimento interno. Tuttavia Maria non perde il controllo ed è capace di riflettere.

Stendere l’ombra: come la nube che si dispiega sulla tenda del convegno, segno della Presenza di Dio.

Gabriele annuncia che non sarà impossibile, il tempo è un futuro, mentre la potenza dell’Altissimo è affermata al presente.

Avvenga pronuncia Maria. Si tratta di una rara formula del verbo ottativo greco, ghenoito, da non confondere con l’imperativo più normalmente usato. La sfumatura risiede nel manifestare il desiderio ben vivo di partecipare al disegno dell’Altissimo.

Maria si definisce schiava, ricalcando Isaia, che presenta la missione del popolo non come un privilegio, bensì come un servizio agli altri (Is 42,1-9; 49,3-6). Ed è anche l’unica schiava del Signore.

La giovane fanciulla si mette in viaggio per raggiungere Elisabetta, commenta C. M. Martini: “Il testo originale greco legge: “Con diligenza e con fretta”. C’è dunque l’aspetto di servizio (voglio andare a servire mia cugina) e c’è l’aspetto del bisogno (lei mi capirà, potrò confidarle tutto)”.

Tre nomi si riconcorrono in questo brano: Maria datole dalla famiglia; kecharitomene da Dio stesso e schiava del Signore datosi da sé.

La Vergine di Nazareth non è un modello da ricalcare ma una testimone viva cui guardare: diviene grembo, spazio per ‘il Dio con noi’, per Jehoshua, “Ja salva”.

Dio ci visita anche oggi, siamo capaci di percepirLo?