Giovedì Santo

Es 12,1-8.11-14; 1Cor 11,23–26; Gv 13,1-15

La collocazione cronologica è precisa, Giovanni menziona il momento antecedente alla grande festa ebraica di Pesach, tutto il popolo si preparava ad esultare in questo giorno benedetto perché l’Altissimo l’aveva liberato dal giogo di Faraone e salvato dai flutti del Mare dei Giunchi.
Il clima quindi è solenne ma l’accentuazione lo è ancora più: Gesù sa che era giunta la sua ora, il suo tempo cronologico, quello dell’esistenza vissuta insieme al popolo, alla famiglia, ai discepoli, stava per esaurirsi. Si sarebbe conclusa la sua storia terrena.
È uno di quei momenti che tutti dovranno affrontare e che, lasciati a se stessi, sinceramente vorrebbero evitare.
La clessidra sta per esaurirsi, mancano pochi granelli di sabbia e poi tutto sarebbe finito.
Come utilizzare al meglio, il tempo restante una volta calcolati i granelli?
Riordinare le proprie carte, svuotare il conto in banca, darsi da fare per sistemare gli eredi?

Gesù vive la certezza di lasciare questo mondo ma di andare al Padre, in questo misterioso percorso possiamo trovare la chiave della sua scelta che avrebbe lasciato un’impronta sulla storia di ciascuno dei discepoli ma anche su quella catena che si sarebbe snodata nei secoli e che, di anello in anello, avrebbe non tramandato semplicemente ma fatta autentica memoria, cioè vissuto in contemporanea con Lui.
Gesù i suoi li ha amati mentre con loro percorreva i villaggi della Terra del Santo, sa bene che li avrebbe lasciati, sa bene che la sua presenza non sarebbe stata più tangibile. Ebbene che cosa decide di fare?
Spingere l’amore che già vibrava in Lui per loro al suo vertice sommo, “sino alla fine”, afferma l’evangelista.

Nel bel mezzo della cena irrompe un gesto inaudito, nuovo e originale che avrebbe creato un precedente ineludibile.
Lo schiavo attendeva il ritorno del padrone per lavargli i piedi, sporcatisi e impolveratisi sulla strada. Non si può affermare che sia molto piacevole occuparsi di piedi sudici. Ma lo schiavo è appunto lo schiavo.
Il discepolo, in segno di deferenza e di attestazione della superiorità del suo maestro, si affrettava a porgergli questo servizio.
In questa cena, tutto si rovescia, si catapulta: il Maestro, si fa schiavo, si fa ultimo.
Tutti tacciono, Pietro ci aiuta con la sua nota impetuosità che però, a ben vedere, protegge i nostri interrogativi e schioda il silenzio, attonito e pesante, della reazione degli altri discepoli. Non capisce ma accetta di non capire, si fida e si protende tutto verso il Maestro.
Noi ancora non capiamo ma possiamo offrirci tutti: dalla testa ai piedi.