Domenica 2 settembre

Dt 4,1-2.6-8; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Dopo la moltiplicazione dei pani, ora viene il tema delle condizioni per mangiare il “pane”, per poter partecipare al banchetto della comunione con Dio. È esclusa ogni forma di ipocrisia, consapevoli – sempre – di non essere giusti e degni. Ieri era la folla a stringersi attorno a Gesù, umile come sono le pecore senza pastore; oggi sono i farisei ed alcuni scribi, per coglierlo in fallo in merito alla “tradizione” da loro caricata di obblighi con la presunzione di migliorarla. Gesù semplicemente risponde con il comandamento dell’amore.

La presunzione ipocrita è quella di complicare inutilmente il comando divino fino al punto da renderne inaccessibile la sostanza e di fatto allontanare dalla volontà del Signore perché non è più coinvolto il “cuore” del discepolo. La vera tradizione è quella dell’obbedienza al valore immutabile e sempre attuale della Parola del Signore. Gesù, per spiegarsi, usa le parole del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

Il centro dell’insegnamento del Maestro è, dunque, il cuore, non contrapponendo l’interiorità rispetto all’esteriorità, ma risanando e ricomponendo l’unità della persona che agisce “fuori” secondo la verità che è “dentro”. È il cuore malato dell’uomo il vero grande problema della storia dell’umanità e della storia della storia della salvezza.

Dichiarando mondi (puri) tutti i cibi, Gesù supera tutte le religioni ridotte a pratiche e devozioni e rovescia la prospettiva: non sono le cose a contaminare il cuore, ma le intenzioni del cuore a guastare la creazione. Anzi, il cuore guidato dalla sapienza dell’amore (il vero “Comandamento di Dio”, il primo e più grande comandamento), è capace di far nuove tutte le cose.

L’esempio portato da Gesù fa vedere dove può giungere lo stravolgimento dei comandi di Dio: l’obbligo di onorare il padre e per la madre, poteva essere superato dal gesto del “korban”, cioè dell’offerta fatta a Dio. Gesù invece riporta all’unità dei due grandi comandamenti (“Il secondo è uguale al primo”): Amare (onorare) i genitori è amare (onorare) Dio stesso.