Domenica 12 agosto

Sapienza 18,3.6-9;  Ebrei 11,1-2.8-19; Luca 12,32-48

È la domanda di sempre: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Pensiamo che le parole dette dal Signore siano valevoli per una platea molto più vasta, come se questo ci giustificasse dall’assumerci responsabilità e doveri. Sono parole di vigilanza, di non addormentarsi su ciò che si ha, pensando di essere al sicuro. Sono parole di sprono quelle che vengono proposte in questa diciannovesima domenica del Tempo Ordinario. Quale il fine dell’uomo sulla terra se non quello dell’incontro definitivo ed eterno con Cristo? Nell’idea del viaggio, della borsa e dell’essere in cammino che il Vangelo offre c’è un mini vademecum per ogni uomo e donna nel suo itinerario terreno. Quale rapporto avere con i beni materiali? Gesù offre una prima indicazione di contenuto: i beni sono a servizio dell’uomo per raggiungere il Bene, che è Dio. Servirsi dei beni materiali come mezzo e non come fine. Nella logica della società la corsa all’acquisto, all’avere e al possedere porta le catene di distribuzione delle merci a studiare un invito all’acquisto ben mirato e studiato. Si arriva ad acquistare ciò di cui non si ha affatto bisogno, solo per il gusto di comperarlo a mo’ di compensazione e sfizio del momento. Se si dovesse fare un’analisi degli oggetti che riempiono le case la maggioranza di essi sono di riempitivo e non necessari. A tal proposito è chiaro il monito di Gesù: fatevi borse che non invecchiano, ovvero, abbiate con le cose e i beni un rapporto libero e non vincolante, senza far dipendere la propria vita da ciò che si ha. Quando l’avere sopraffà l’essere si incrina a dismisura il volto vero dell’identità umana. È importante avere una propria etica nel dare il giusto valore alle cose; è illusorio pensare che il di più che si ha porta alla vera felicità. Al contrario: chi possiede molto, vive sempre nell’angoscia e nella paura che tutto ciò gli venga sottratto e portato via. Di qui la corsa alle case paragonabili sempre più a delle cassaforti blindate sin sopra il tetto. La preoccupazione di avere toglie il sonno, la salute, la pace interiore. Gesù invita a non vivere per accumulare, ma a vivere per donare. Che cosa se ne fanno dei beni accumulati coloro che, al termine della loro vita, ridonano il loro corpo alla terra? Nulla. Se non divenire oggetto di contesa per i parenti. Il bene sempre più raro, e per questo da ricercare e far trafficare sempre più, è quello della condivisione della propria vita partendo anche dai beni materiali. In tale direzione una proposta per le giovani coppie di fidanzati (senza che le già sposate si sentano escluse): nel cammino del fidanzamento e in vista della vita matrimoniale iniziare con dei segni piccoli, non visibili ma concreti, aiuta la persona a mettersi nell’ottica della libertà e gratuità di fronte a ciò che si ha. Quelle nozze di cui parla l’evangelista Luca nel Vangelo odierno vanno anticipate qui in terra con le persone che Dio pone, non a caso, al fianco. Sono le nozze dell’incontro che aiuta a riscoprire il vero volto dell’altro. Una persona non vale per ciò che ha ma per quello che egli è. La sua personalità è data dallo spessore della propria dignità e umanità; non si compera una relazione a suon di assegni firmati. In questa terra siamo chiamati a essere amministratori di ciò che ci è stato donato per amore. Il farsi guerra per avere, scatena relazioni nocive e guerreggianti. Vi sono pile di cartelle sulle scrivanie di avvocati e giudici di pace per contenziosi dettati da motivi di proprietà, eredità e affini. È anche su queste cose che ci si perde, senza ritrovare il motivo vero dell’esistere. Ogni giorno Dio Padre dona quella razione di cibo, differente dalla mensa, che porta il sapore di novità, stupore, vera relazione. La comunità parrocchiale sia il primo luogo dove si viene sfamati con il pane dell’Eucaristia e il vino della fraternità.

Giacomo Ruggeri