Ascensione del Signore – 20 maggio

Atti 1,1-11; Ebrei 9,24-28; 10,19-23; Luca 24,46-53 Essere condotti fuori, educati a conoscersi, per amarsi, donarsi. Da quell’innalzarsi di Gesù verso il cielo si arriva a un punto nodale del tempo di Pasqua: il Figlio accanto al Padre, nella gloria. La liturgia della solennità dell’Ascensione è ricca di movimenti e gesti, parole che donano senso al passato e profezia al futuro. Gesù il Risorto si presenta nella veste dell’uomo nuovo che ha vinto la morte agli apostoli riuniti nel cenacolo. Questi sono ancora sconcertati e impauriti, come sottolinea l’evangelista Luca nel medesimo capitolo, a motivo della morte del loro maestro. Ma Gesù, da buon pedagogo, non cessa di amare ed educare i suoi che chiamò accanto a sé sin dall’inizio del suo ministero pubblico; torna a dire loro le parole, poi avverate, annunciate durante la passione. Le ripropone agli apostoli non come rimprovero ma quale conferma che è nella volontà del Figlio portare a compimento l’opera del Padre. L’Ascensione è quello stanare di Dio a chi si è rinchiuso dentro i propri bisogni e le sufficienti soddisfazioni. Ecco perché l’autore del terzo Vangelo mette in evidenza quel “li condusse”: un verbo di moto attivo, atto a rianimare la speranza, la fiducia, la stessa fede. A livello pastorale, quindi, celebrare la solennità dell’Ascensione non vuol dire stare con “gli occhi in su” rivolti al cielo, ma capaci di guardare verso l’alto in termini di radicamento in Cristo e condivisione con gli uomini di ogni tempo. La condivisione genera e conduce alla conversione. Quest’ultimo termine è sovente associato al peccato, al male, a ciò che è sbagliato e va cambiato. Gesù lo affianca alla condivisione. In che senso? I discepoli sono riuniti assieme nel Cenacolo ma la paura impedisce loro di condividere, di farsi prossimi gli uni gli altri. Portandoli a Betània Gesù compie il gesto che rigenererà nel cuore degli apostoli la lode e la gioia. Alza le mani per benedirli quasi a sottolineare quello sciogliere i loro cuori induriti dal timore e restituirli a loro stessi e nella fraternità. Quanto di vero e di attuale, in questo gesto così compreso è valevole per le relazioni intra ed extra ecclesiali. Nelle relazioni ad intra è il continuo allenamento alla carità della condivisione, del raccontarsi reciprocamente come arricchimento e reciproco. Nelle relazioni ad extra l’Ascensione insegna l’urgenza della testimonianza cristiana in ogni ambito e ambiente. Di cosa sono testimoni gli apostoli? Che Gesù li ha amati, ha dato loro vita con la morte e la risurrezione e che proprio in Gerusalemme ha cercato di far sentire la sua voce. Quel “cominciando da Gerusalemme” è una chiara indicazione di Gesù nel voler dire che l’amore non è questione di quanto tempo si condivide, ma la qualità di esso. Gesù si rivolge agli apostoli impauriti per far capire che la differenza tra loro e i farisei del tempio è inesistente se per primi non accolgono lo Spirito Santo “quello che il Padre mio ha promesso”. Gli apostoli, dopo la risurrezione di Gesù e la sua ascensione al cielo, fanno proprio il mandato di Gesù e tornano al tempio lodando e ringraziando Dio. L’evangelista Luca apre e chiude il suo Vangelo con il tempio, non solo sinonimo di chiesa, ma di nuove relazioni tra gli uomini. Giacomo Ruggeri