Domenica di Pasqua – 8 aprile

Atti 10,34.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9 Cosa si attende, ancora, per entrare, vedere e capire? Cosa rende solenne la Pasqua? È l’apertura del cuore, l’accoglienza di Dio e riscrivere con lui la propria vita. La solennità di questo giorno di Pasqua va oltre i confini geografici e cronologici perché si perpetua ogni qualvolta Dio cerca l’uomo e non lo trova, spaesato e senza una meta, ma in cerca di Lui stesso. Il volto della donna che corre al sepolcro porta con sé molteplici orizzonti di significato. Un primo orizzonte in superficie è quello della voglia di ritrovare e vedere una persona cara, per di più amata e guarita da Gesù. È un cercare ancora, però, egoistico perché è un volere per sé, un possedere, un trattenere. Si pensi alle quotidiane relazioni se sono vissute secondo questo orizzonte, nella tensione al possedere, al non lasciare libera la persona giustificando tale atteggiamento con l’affetto e l’amore. Ma è vero amore? La Pasqua chiede a questo orizzonte di ricerca di tendere a una progressiva maturazione delle relazioni che porta se stessi e la persona a una reciproca libertà, come sinonimo di crescita adulta del pensiero e dell’azione. Un secondo orizzonte che ci viene offerto da Maria di Magdala, che corre al sepolcro, è quello del passato, riferito all’oggi, come tempo non ancora compreso e digerito completamente. Il sepolcro è il luogo della deposizione della morte fisica; ma con esso c’è tutto il mondo del proprio passato che ogni persona ha con sé. Senso di colpa, rancori, odio covato e mai disciolto: sono spunti che innescano gesti feroci maturati poi in epiloghi tragici e che la cronaca, purtroppo, costantemente ripropone. Cosa dice la Pasqua a questa prospettiva di vita e questo mondo del passato? Dice pace, perdono e misericordia. La prima parola che Gesù dirà ai suoi discepoli dopo la Risurrezione è proprio “Pace a voi”. Fare pace con il passato è un coraggioso e umile gesto di saper guardare alla propria vita di ieri con gli occhi del domani, ovvero, con stupore e fiducia. Correre avanti quando ancora il cuore e la mente guardano indietro, se non addirittura sono ad esso legati, equivale a non andare da nessuna parte e a girare su se stessi. La Pasqua segna questo cambio di prospettiva, come dice Isaia: “Ecco sto facendo una cosa nuova: non ve ne accorgete?”. Un terzo orizzonte, infine, verso il quale mostriamo più attenzione è quello di una fecondità (la donna) che corre verso l’incarnazione (il Cristo). Proprio una donna, considerata poco, se non nulla, nella cultura e nel tempo di Gesù, corre verso il sepolcro. Ciò che la società di quel tempo poneva ai margini viene posta in primo piano dopo la morte di Gesù. La donna, colei che può concepire e dare alla luce una vita, corre verso quel luogo considerato non più vita. Sarà lei a dare l’annuncio agli altri: la vita è risorta. La Pasqua è questo annuncio sempre nuovo che è la vita a dire l’ultima parola sull’umanità che tenta di cancellare la vita. Nel correre di Maria di Magdala e dei due discepoli vediamo in germe la prima Chiesa nascente, le caratteristiche base del cammino cristiano: l’entrare, il vedere, il credere. La Pasqua ci chiede di porre in atto un approfondito discernimento verso la propria vita in tutte le sue componenti interiori e dinamiche relazionali. A partire da quelle bende bianche riposte in modo ordinato dentro il sepolcro iniziamo a tessere rinnovate relazioni per una Pasqua che abbia il profumo e il sapore della genuinità. Quelle bende bianche, proprio come delle pagine, attendono di essere scritte, visitate, abitate. La Pasqua della comunità cristiana si guarderà bene dallo strappare o dal tirare a sorte questo tipo di bende. E se lo farà sarà l’inizio della divisione, dei contrasti, della confusione. La Pasqua è la capacità di essere collirio che dilata il cuore e la vita tutta. Giacomo Ruggeri