Santa Famiglia

Sir 3,2-6.12-14; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23

Il Vangelo di oggi inizia con il verbo attribuito ai Re Magi che “fecero ritorno”, alla lettera “si ritirarono”. Oggi è attribuito a Giuseppe, dove in italiano è detto “fuggì”. La famiglia di Nazareth trovò, pur nel dolore dell’esilio, terra e gente accoglienti. Proprio per questa fuga l’Egitto è considerato Terra Santa dalla tradizione cristiana.
La fuga della famiglia di Nazareth ricorda l’espressione dell’Apocalisse: “La donna fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio”. Dunque non fu una fuga occasionale questo ritirarsi da parte del Signore e della Chiesa (la donna, la madre). Al verbo “ritirarsi” è collegata la tradizione degli anacoreti, antichi uomini ritiratisi nel deserto, consacrati alla preghiera e alla penitenza.

A confronto con l’Egitto, la terra di Israele appare minacciosamente ostile e assassina. E com’è diversa la ricerca di Erode rispetto a quella dei Magi. “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”, leggiamo nel profeta Osea. Bellissimo quel mio figlio con cui nella profezia veniva chiamato il popolo ancora “giovinetto”, amato da Dio.

Sulla strage dei bambini di Betlemme si impongono le amare parole di Geremia – “Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d’essere consolata perché non sono più” – sulle quali si riversano, come oceano di consolazione, quelle di Dio: “Trattieni la voce dal pianto, i tuoi occhi dal versare lacrime, perché c’è un compenso per le tue pene; essi torneranno dal paese nemico. C’è una speranza per la tua discendenza: i tuoi figli torneranno entro i loro confini”. Questi bambini, gli innocenti della strage, che testimoniano il sangue di Cristo senza sapere e senza parlare sono l’indiscutibile nota di luce e di bellezza che la fede depone anche sulla vicenda più cupa.

Giuseppe è un padre presente, attento, pronto a far fronte alle difficoltà. Delinea il modello della famiglia autentica. Troppe mamme sono lasciate da sempre sole coi figli. Una moltitudine di mamme addolorate e sfatte, lasciate sole fino alla follia dell’infanticidio, senza nemmeno Erode. E padri – tanti – occupati altrove. Giuseppe rimette le cose a posto. Dio rimette ordine nella vita dell’uomo e lo invita a destarsi dal sonno e a rimboccarsi le maniche.

Il percorso di Giuseppe è significativo: è il compimento del primo viaggio di “entrata” nella terra promessa e del ritorno dall’esilio di Babilonia. Introdurre il figlio di Dio nella terra di Israele è il compiersi del giudizio di salvezza di Dio sulla storia: tutti il popoli saliranno a Gerusalemme! La paura di Giuseppe in relazione alla situazione politica della Giudea, lo portano a scegliere Nazareth come dimora della Santa Famiglia. Gesù, così, sarà anche il Nazareno.

Proprio a Nazareth, nel 1964, Papa Paolo VI, tenne un bel discorso. Ecco alcune parole: “La casa di Nazareth è la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare. La casa di Nazareth insegna il silenzio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto. Nazareth ci ricorda cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci fa vedere com’è insostituibile l’educazione in famiglia, la sua funzione nell’ordine sociale. Impariamo la lezione del lavoro, la legge della fatica umana”.