Il difficile cammino della pace senza abituarsi alla guerra

La pace è possibile, è di tutti e ha bisogno di tutti. È il grido forte, corale, netto che è salito da piazza San Giovanni a Roma sabato scorso durante la manifestazione Europe for Peace alla quale hanno partecipato almeno 100mila persone e alla quale hanno aderito moltissime realtà anche del mondo cattolico. È stata la manifestazione concreta e visibile di un grande anelito alla pace, da parte di donne, uomini, giovani e anziani, una grande spinta collettiva a perseguire davvero e finalmente il silenzio delle armi in Ucraina.

(Foto: SIR)

La pace è possibile, è di tutti e ha bisogno di tutti. È il grido forte, corale, netto che è salito da piazza San Giovanni a Roma sabato scorso durante la manifestazione Europe for Peace alla quale hanno partecipato almeno 100mila persone e alla quale hanno aderito moltissime realtà anche del mondo cattolico. È stata la manifestazione concreta e visibile di un grande anelito alla pace, da parte di donne, uomini, giovani e anziani, una grande spinta collettiva a perseguire davvero e finalmente il silenzio delle armi in Ucraina.
Ma il cammino che porta alla pace è un cammino complesso e difficile. È un cammino in salita, come ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei Vescovi italiani, riecheggiando le parole di don Tonino Bello, nella lettera indirizzata ai partecipanti alla manifestazione romana. Per tutte queste ragioni bisogna diffidare di chi presenta soluzioni e giudizi tutti e solo bianco o tutti nero.
È importante, ha scritto il presidente della Cei, che “tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace”. “Siamo spaventati – ha aggiunto – da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi”. Di qui l’urgenza di un segnale, senza però dimenticare che c’è un aggredito e un aggressore, che ci sono responsabilità gravissime nelle atrocità commesse in questi otto mesi di conflitto, che c’è una solidarietà concreta da continuare a manifestare verso il popolo ucraino.
Tutto questo però non basta. È necessaria, ogni giorno di più, un’azione diplomatica forte e decisa che possa aprire spiragli innanzitutto per un cessate il fuoco. È l’appello che da mesi ripete Papa Francesco rivolgendosi al presidente Putin perché faccia cessare la spirale della guerra e al presidente ucraino perché sia aperto a serie proposte di pace.
Oramai in tanti sono convinti che il conflitto non si possa concludere con un vincitore e un vinto. Per questo bisogna trovare una soluzione accettabile da entrambe le parti, perché nulla è perduto con la pace. La precondizione è che si avvii un negoziato degno di tale nome. Bisogna crederci e la manifestazione di sabato può essere una spinta, innanzitutto nei confronti di chi ha responsabilità politiche nel nostro Paese, per lavorare in modo deciso e convinto per giungere a un cessate il fuoco.
L’anelito alla pace è qualcosa di molto concreto e per questo si chiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire innanzitutto il rispetto del diritto internazionale. Zuppi nella sua lettera ha chiesto all’Italia anche “di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta”.
Ma “Pace” è una parola imperfetta, che non poche volte è strumentalizzata e piegata a interessi del momento (anche nella manifestazione a Roma non sono mancati i tentativi in questa direzione) magari per ricavare consenso politico. È una parola che non può essere di parte e ha, anzi, un carattere universale e che, per essere piena, ha bisogno della giustizia. Ecco quindi che la manifestazione di sabato a Roma indica anche un impegno perché cessino le tante guerre nel mondo. È anche in questo senso, come ha detto il 4 novembre il presidente Mattarella che «non vogliamo e non possiamo abituarci alla guerra» e che «la pace continua a gridare la sua urgenza». È e rimane una questione che interpella ciascuno, in un impegno che deve diventare, sempre più stabile, consapevole e quotidiano.