Siamo tutti europei, siamo tutti ucraini!

Si è svolta l’11 luglio - giorno di San Benedetto patrono d’Europa, anniversario del massacro di Srebrenica, in Bosnia nel ’95 - la “marcia fraterna” per la pace a Kiev, promossa dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean). Hanno partecipato in sessanta, tutti italiani. Rappresentavano trentacinque associazioni, con il mondo cattolico in prima linea. Erano in collegamento con diciotto piazze in Italia e una a Londra per proporre soluzioni non violente. Gli “ambasciatori di pace”, insieme alla delegazione ucraina che li ha ricevuti, hanno dimostrato la necessità della partecipazione della società civile, di istituzioni e associazioni locali, delle Chiese e delle persone di buona volontà per fermare la guerra: “Siamo tutti europei, siamo tutti ucraini”. Sarebbe stato altrettanto significativo se si fosse potuto entrare in Russia, a Mosca, a portare il messaggio di pace.

(Foto Vatican Media/SIR)

Si è svolta l’11 luglio – giorno di San Benedetto patrono d’Europa, anniversario del massacro di Srebrenica, in Bosnia nel ’95 – la “marcia fraterna” per la pace a Kiev, promossa dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean). Hanno partecipato in sessanta, tutti italiani. Rappresentavano trentacinque associazioni, con il mondo cattolico in prima linea. Erano in collegamento con diciotto piazze in Italia e una a Londra per proporre soluzioni non violente. Gli “ambasciatori di pace”, insieme alla delegazione ucraina che li ha ricevuti, hanno dimostrato la necessità della partecipazione della società civile, di istituzioni e associazioni locali, delle Chiese e delle persone di buona volontà per fermare la guerra: “Siamo tutti europei, siamo tutti ucraini”. Sarebbe stato altrettanto significativo se si fosse potuto entrare in Russia, a Mosca, a portare il messaggio di pace.
C’è un numero consistente di italiani che non crede nell’uso della forza per la risoluzione dei conflitti ed è diffidente verso l’invio di armi per la pace.
Occorre chiedersi perché l’opinione di chi è contrario all’invio di armi per fermare la guerra in Ucraina non trova spazio sui mezzi di comunicazione sociale?
Perché non riesce ad avere una reale rappresentanza politica non strumentale? Perché è spesso compatita, anche quando è il Papa, con la sua autorevolezza, ad affermarla? La “marcia fraterna” fino a Kiev comunica la volontà espressa a voce da molti, per la fine delle ostilità. Serve dare sostanza alle parole e questa azione, come ogni iniziativa ispirata alla non violenza, ha una importanza strategica se costruisce dal basso le condizioni per la pace grazie all’ascolto, all’impegno nell’incontro e nel dialogo e per una resistenza civile, non violenta e disarmata. I costruttori di pace, con motivazioni e argomentazioni diverse, sostengono che “le armi non bastano a risolvere il conflitto”. Come conferma che le guerre non risolvono, anzi complicano i problemi, sta crescendo lo spettro della fame in Africa, e si andrà ad ingrossare il numero delle famiglie povere in Europa. Occorrono persone che vogliono fermare la guerra e non hanno timore di affermarlo con i fatti, così come chiedono inascoltati tanti cittadini e cittadine europei, dall’Atlantico agli Urali, Ucraina e Russia comprese. Purtroppo, fra gli uomini di Stato in pochi sembrano essere capaci di operare efficacemente per la pace! Ognuno di noi si deve fare operatore di pace, perché seguendo la beatitudine del Vangelo di Matteo 5, “saremo chiamati figli di Dio”.