Un inno di pace: “Noi, insieme, responsabili del futuro”

Unità tra gli uomini. Unicità delle singole identità. Dignità della persona. Tre grandi virtù, fatte proprie da ogni credo religioso che le ha poste come archetipi della scala valoriale. Nell’arco di sole quarantott’ore – tra il 3 e il 4 febbraio scorsi – i riflettori mediatici sono stati puntati su queste tre singole parole, nata ciascuna in ambienti e contesti differenti.

foto SIR/Marco Calvarese

Unità tra gli uomini. Unicità delle singole identità. Dignità della persona.
Tre grandi virtù, fatte proprie da ogni credo religioso che le ha poste come archetipi della scala valoriale.
Nell’arco di sole quarantott’ore – tra il 3 e il 4 febbraio scorsi – i riflettori mediatici sono stati puntati su queste tre singole parole, nata ciascuna in ambienti e contesti differenti.
Sull’unità sta facendo da tempo riflettere il Sinodo della Chiesa italiana, nella sua esperienza comunitaria, che culminerà col Giubileo del 2025, spronando tutti ad essere pellegrini di speranza. È un’unità che, in questa particolare Chiesa di Lucera-Troia, si incarna nel quotidiano attorno alla figura del suo Pastore, il vescovo Giuseppe. Da cinque anni (4 febbraio 2017-2022) è tra il popolo affidatogli per condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini» (GS 1), nelle loro singole identità. Per ricordare la bellezza di essere figli di Dio, amati da Dio. Amati da “il Dio”.
Ecco l’unicità. Da quella del suo unico Dio a quella dell’uomo, fatto a Sua immagine. Di questi tempi, serviva il magistrale monologo di Drusilla Foer, sul palco dell’Ariston di Sanremo (3 febbraio 2022), a far tornare in scena questa immensa virtù! L’uomo è creato unico nella sua singolarità: è altro-da-me non diverso-da-me! Ultimamente si parla troppo di diversità, come se di base vi fosse una “normalità” di riferimento imposta dall’alto. «Integrazione o diversità – esordisce la Foer – è una parola che non mi piace, è qualcosa di comparativo, esprime una distanza che non mi convince. Quando la verbalizzo sento sempre che tradisco qualcosa che sento, che penso. […] Ho trovato un termine per sostituirlo, molto convincente: unicità». E «per comprendere la propria unicità è necessario capire di che cosa è fatta. Capire di che cosa siamo fatti noi».
E di cosa è fatto l’uomo? Qual è il punto di partenza? In un frangente storico in cui l’Italia era in attesa del responso della Corte Costituzionale sul quesito referendario sull’eutanasia – poi giunto negativo –, ci ha pensato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordare a tutti ciò che rende uomini: l’accettazione della persona in ogni sua condizione, il rispetto della sua dignità. In un mondo lacerato dalla pandemia e dagli scenari di guerra che, in questi giorni, si proiettano sempre più ad Est, l’omelia laica del Capo dello Stato nel giorno del suo secondo giuramento (3 febbraio 2022) rammenta che la dignità è la «pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione».
È dalla dignità che tutto parte. Tutto nasce da essa: senza il riconoscimento della condizione dell’unicità dell’altro non c’è unità: «Ecco – chiosa Mattarella –, noi, insieme, responsabili del futuro». Nella società come nella Chiesa.

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