Lettera ad una futura dottoressa

Carissima Matricola, c’eri anche tu venerdì scorso a Trento Fiere fra i 647 aspiranti medici ed odontoiatri che cercavano di superare il test per entrare nei 60 posti disponibili nel primo anno della Facoltà di Trento. Perché vorresti fare la dottoressa? La domanda ti sembrerà forse provocatoria o addirittura impertinente – ma non è così – considerato il travaglio epocale attraversato in questi quasi due anni di pandemia dal mondo sanitario. Inoltre, un reparto del nostro più famoso ospedale, il Santa Chiara, è salito in questi mesi alla triste ribalta della cronaca nazionale per una vicenda di presunti maltrattamenti ai danni di una giovane ginecologa appassionata del lavoro clinico – probabilmente come lo sei tu – al punto da trasferirsi da Forlì in Calabria e poi a Trento per specializzarsi in chirurgia.

Carissima Matricola, c’eri anche tu venerdì scorso a Trento Fiere fra i 647 aspiranti medici ed odontoiatri che cercavano di superare il test per entrare nei 60 posti disponibili nel primo anno della Facoltà di Trento. Perché vorresti fare la dottoressa? La domanda ti sembrerà forse provocatoria o addirittura impertinente – ma non è così – considerato il travaglio epocale attraversato in questi quasi due anni di pandemia dal mondo sanitario. Inoltre, un reparto del nostro più famoso ospedale, il Santa Chiara, è salito in questi mesi alla triste ribalta della cronaca nazionale per una vicenda di presunti maltrattamenti ai danni di una giovane ginecologa appassionata del lavoro clinico – probabilmente come lo sei tu – al punto da trasferirsi da Forlì in Calabria e poi a Trento per specializzarsi in chirurgia.

E, proprio venerdì scorso, la Commissione disciplinare dell’Azienda sanitaria ha concluso la sua indagine interna sui comportamenti del primario con la richiesta di licenziamento (sarebbe la prima volta nella storia della sanità trentina): se il Consiglio dei garanti la confermerà e se anche la Procura arriverà a simili conclusioni (gli avvocati della difesa sostengono invece che il primario sia del tutto innocente e semmai “vittima” di persecuzione mediatica) potrebbe scattare anche la radiazione dall’Ordine dei medici, quell’albo professionale al quale tu sogni di poterti iscrivere dopo gli studi universitari.

Se abbiamo richiamato questo “caso” di discusso esercizio del proprio servizio/potere è solo per sottolineare la responsabilità sociale della tua professione, cara futura dottoressa. Non è un mestiere come un altro, prendersi cura delle persone, non è una manutenzione da artigiano, non consente dimenticanze o strappi; è un’arte che entra con il bisturi o il laser nella vita dei più deboli talvolta sull’incerto confine con la morte; è una pratica sostenuta dalla scienza con le sue provvisorie certezze, ma fondata sulla coscienza personale costretta in ogni momento non solo a decidere che cosa è possibile fare, ma soprattutto che cosa è doveroso fare. Dovrai misurarti, ad esempio, con le norme e le prassi del fine vita, al centro di un quesito referendario. Starai pensando che Ippocrate lo hai già letto e riletto alle superiori (forse è per “colpa” sua che pensi al camice bianco?) e che avrai tempo almeno sei anni per maturare tue motivazioni deontologiche.

Noi aspettiamo (scriviamo al plurale perché è sempre una comunità “che cura” insieme ai suoi medici) ma se invece pensi a questo periodo di formazione come al maturare di una vera e propria vocazione, ti invitiamo a confrontarti subito con il fascino di poter “servire” gli altri senza servirsi degli altri (magari per una carriera o peggio ancora per una posizione economica). Questa chiamata esigente a fare del proprio lavoro un “prendersi cura” dell’altro – soprattutto quando è più fragile – vale per tutte le professioni sanitarie (accomuniamo a te infermieri, ostetriche, operatori sociosanitari, educatori professionali sanitari… ) ed è stato esaltato dalla pandemia.

Sia per l’autorevolezza con cui tanti medici hanno preso la parola e le decisioni (purtroppo non sempre univoche, ma vogliamo avere fiducia nelle autorità sanitarie preposte), sia per la dedizione con cui altrettanti colleghi hanno presidiato le terapie intensive o gli ambulatori, perdendovi anche la vita per questo subdolo Covid. Valga per tutti l’indimenticabile Gaetana Trimarchi, apprezzata dottoressa di famiglia in Val di Fassa, prima vittima fra i sanitari trentini, ricordata con tante testimonianze di affetto. Oppure puoi leggere di Carlo Urbani o del missionario roveretano Carlo Spagnolli o la biografia del dermatologo solandro fratel Emanuele Stablum: “Ogni nostra risorsa di scienza, esperienza, intuito e volontà – usava dire – è protesa verso la cura del nostro fratello sofferente”. In bocca al lupo per il test e per il tuo futuro lavoro!

(*) direttore “Vita Trentina”