Cammino sinodale. Le comunità parrocchiali si aprano al desiderio delle persone di farsi ascoltare

“Per vivere la sinodalità occorre grande conversione”, ha spiegato mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito e presidente del Cop, al termine della 70ª Settimana di aggiornamento pastorale. Per il pastoralista don Antonio Mastantuono sarebbe veramente una sconfitta” ridurre il cammino sinodale ad “un fatto puramente burocratico”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Nelle parrocchie italiane “c’è il desiderio di farsi ascoltare. Dobbiamo, quindi, riuscire ad andare dentro la vita delle persone, incontrandole dove sono – nei bar che frequentano o sul posto di lavoro – per condividere la loro esperienza di fede”. Mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale, sintetizza così l’impegno al termine della 70ª Settimana di aggiornamento pastorale sul tema “In cammino verso il Sinodo della Chiesa italiana” promossa dal Centro di orientamento pastorale (Cop) e che si è chiusa oggi Assisi.

A poco più di un mese dall’avvio del Sinodo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, che il Papa aprirà ufficialmente il prossimo 10 ottobre e di cui ieri sono stati presentati il Documento preparatorio e il Vademecum, e all’inizio del cammino sinodale della Chiesa italiana, l’appuntamento promosso dal Cop è stata l’occasione per fare il punto sulla comunione ecclesiale che si realizza in un cammino comune, con strumenti e luoghi di discernimento comunitario, e, soprattutto, nella capacità di mettersi costantemente in ascolto dell’Altro e degli altri.

Non a caso, don Antonio Mastantuono, pastoralista e vicepresidente del Cop, incontrando i giornalisti alla fine dei lavori ha insistito sull’importanza dell’ascolto reciproco:

“Ciò che è necessaria è la volontà delle comunità di fare questa esperienza di cammino. Decidano cioè di ritrovarsi, guardandosi negli occhi, ascoltandosi reciprocamente”.

“Il primo passo – la convinzione del pastoralista – è imparare ad ascoltarsi reciprocamente”, in uno spazio nel quale “siamo tutti uguali – parroco, vescovo, catechista, ma anche chi in chiesa mette i piedi ogni tanto”. “Significa – ha spiegato – capacità di accogliersi e lasciarsi interrogare dall’altro”.

Nella “Lettera alla parrocchia” diffusa alla fine della Settimana, mons. Sigalini a nome dei “parrocchiani ‘dal basso’”, un po’ provocatoriamente ha scritto che “si sono finalmente accorti che ci siamo anche noi; stanno parlando alla grande in chiesa, sui nostri giornali da un po’ di tempo, e adesso li ha convinti pure il Papa, che non possono più esserci senza di noi. Vogliono sentire cosa abbiamo da dire, dicono che vogliono partire dal basso, anche dalle nostre parrocchie, che siamo rimaste in molte senza prete”. E magari chiuse. “Non ci adattiamo a queste chiese vuote, anche ora che si possono frequentare, desideriamo essere aiutati a dare alla nostra gente ragioni per sperare, forze per continuare, fede da condividere”, conclude la lettera, nella quale emerge il sentimento di un laicato che non si rassegna, che desidera contribuire e che dalla pandemia vuole “uscirne, sia per ringraziare Dio che ci ha risparmiati, per pregare assieme per i nostri morti, sia per non tornare più come prima, ma più convinti e più volonterosi di collaborare, ascoltare e farci ascoltare”.

Una disponibilità che non può essere delusa. Per questo, secondo don Mastantuono,

sarebbe veramente una sconfitta” ridurre il cammino sinodale ad “un fatto puramente burocratico”. “Il timore, che deriva dal fatto che non siamo abituati a fermarci e ad ascoltarci reciprocamente, è che la fretta ci prenda e che tutto si riduca ad un incontro tra pochi, con documenti già scritti”.

“Sinodo – ha aggiunto – significa anche ‘varcare la soglia’: solamente insieme, lasciandosi illuminare dallo Spirito, possiamo varcare la soglia, per una Chiesa rinnovata, capace di vivere una fedeltà ancora più radicale al Vangelo”.

“Per vivere la sinodalità occorre grande conversione”,

ha precisato mons. Sigalini nelle conclusioni:

“Non si tratta di adattamento, di escamotage di furbizia, di riverniciatura di una vecchia catechesi frontale, ma di essere presi da ciò che ci tocca profondamente, una sorta di innamoramento, di sposarne la logica per favorire la generatività, far crescere la vita attorno a sé, disponibilità al cambiamento di se stessi”.

“È un lavoro necessario – ha aggiunto – e molto decisivo per far crescere una Chiesa sinodale in tutte le sue manifestazioni, a partire dalla chiesa domestica, a quella delle nostre parrocchie senza prete, alle comunità cittadine, fino alla diocesi. Qui occorrerà mettere in atto anche strumenti fruibili da tutti, percorsi previ e grandi tentativi calibrati in cui si impara crescendo”. “Nessuno ora ha formule magiche”, ha osservato il vescovo, ammonendo: “Serve la pazienza e la creatività ancor più forte di tutte le nostre formazioni di animatori per tutte le età che ci hanno impegnato nel passato, con una dose di esperienza spirituale e di preghiera molto curata”.

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